Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Noi, medici lasciati soli in guerra
Caro direttore, la solitudine di un medico, è quella di un collega in trincea che deve affrontare questo tsunami che non arresta la sua violenza e non sa come prestare assistenza perché non si trovano più posti per ricoverare un paziente che soffre. La solitudine di un medico, è quella di chi lavora al 118 e non sa dove trasferire il paziente appena prelevato a casa, perché le ambulanze restano in fila per ore. La solitudine è quella del medico di famiglia che ha tante richieste di pareri, di consulenze telefoniche, ma soprattutto del paziente che vuole essere rassicurato perché pensa di avere il Covid. Il medico è sempre più solo contro questo nemico infido e destruente che alcuni avevano considerato debellato. Certo ora le diagnosi sono più tempestive, abbiamo farmaci che hanno migliorato la prognosi. Ma noi sappiamo che andiamo incontro al periodo invernale dove le sindromi da raffreddamento e le forme influenzali complicheranno ulteriormente la situazione. Il medico è solo e non lo vuole urlare non con rabbia, ma con veemenza e fermezza.
Perché eravamo soli nel denunziare oltre 15 anni orsono che la Sanità non poteva essere un bancomat dove prelevare per investire in altri settori. Eravamo completamente soli quando dicevamo che gli specialisti di disciplina e della medicina generale che formavamo erano completamente insufficienti. Allora lo Stato non trovava le risorse per incrementare i posti e centellinava ogni risorsa. Dove sono i «soloni» di allora che facevano orecchie da mercante alle nostre programmazioni di fabbisogni, frutto di studi accurati che ci portavano a dire non solo di quanti specialisti avevamo bisogno, ma anche il quando e il dove. L’indifferenza dei Ministeri competenti del tempo ci ha portato a conseguenze estreme. Oggi mancano specialisti e medici di medicina generale, i concorsi vanno deserti per mancanza di offerta. Siamo costretti a mandare in prima linea gli specializzandi e addirittura i neolaureati: è come se mandassimo le reclute al fronte. Siamo in un quadro talmente serio di carenze di risorse che in alcuni casi abbiamo le tecnologie, ma non abbiamo i professionisti. La nostra solitudine in questo deserto ci ha portato ad essere prima idolatrati e idealizzati come eroi. Ma il passo è stato breve per poi cadere nel dimenticatoio e magari denunziati con l’accusa di non aver assistito adeguatamente un paziente Covid. Quanti medici devono cadere ancora per aver gettato il cuore oltre l’ostacolo, andando in prima linea per rispondere al Giuramento di Ippocrate, perché l’indifferenza della gente e delle amministrazioni svanisca? Perché si capisca che da solo il medico non ce la fa.
È lecito chiedere sacrifici quando tanti, indifferenti all’appello alla prudenza, si sono lasciati andare ad una vita senza freni e senza prudenza? Quando uno Stato, sordo all’appello di noi medici ad intervenire in questi mesi estivi, ha dilapidato questo tempo non correndo ai ripari. Ora lo Stato chiama alle armi anche medici pensionati e neolaureati per andare al fronte, quando per anni ci hanno mortificato costringendoci ad abbandonare il Servizio o addirittura obbligando neospecialisti ad emigrare, ora ci lanciate gli Sos dimenticando quando le assicurazioni ci mangiavano vivi per risarcimento danni, lasciandoci linciare, sbattendo i nostri nomi in prima pagina senza che le Istituzioni ci difendessero. Noi siamo soli, e lo saremmo ancor più se non avessimo con noi il senso del dovere, la passione per questa professione che ci consente di salvare vite umane e soprattutto di dare una speranza se non avessimo un credo che non ci lascia mai: Ippocrate. Ma anche chi ha la fede più profonda può cadere in disperazione e se abbandoniamo noi…