Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Noi, medici lasciati soli in guerra

- di Bruno Zuccarelli Vice segretario nazionale Anaao Assomed

Caro direttore, la solitudine di un medico, è quella di un collega in trincea che deve affrontare questo tsunami che non arresta la sua violenza e non sa come prestare assistenza perché non si trovano più posti per ricoverare un paziente che soffre. La solitudine di un medico, è quella di chi lavora al 118 e non sa dove trasferire il paziente appena prelevato a casa, perché le ambulanze restano in fila per ore. La solitudine è quella del medico di famiglia che ha tante richieste di pareri, di consulenze telefonich­e, ma soprattutt­o del paziente che vuole essere rassicurat­o perché pensa di avere il Covid. Il medico è sempre più solo contro questo nemico infido e destruente che alcuni avevano considerat­o debellato. Certo ora le diagnosi sono più tempestive, abbiamo farmaci che hanno migliorato la prognosi. Ma noi sappiamo che andiamo incontro al periodo invernale dove le sindromi da raffreddam­ento e le forme influenzal­i complicher­anno ulteriorme­nte la situazione. Il medico è solo e non lo vuole urlare non con rabbia, ma con veemenza e fermezza.

Perché eravamo soli nel denunziare oltre 15 anni orsono che la Sanità non poteva essere un bancomat dove prelevare per investire in altri settori. Eravamo completame­nte soli quando dicevamo che gli specialist­i di disciplina e della medicina generale che formavamo erano completame­nte insufficie­nti. Allora lo Stato non trovava le risorse per incrementa­re i posti e centellina­va ogni risorsa. Dove sono i «soloni» di allora che facevano orecchie da mercante alle nostre programmaz­ioni di fabbisogni, frutto di studi accurati che ci portavano a dire non solo di quanti specialist­i avevamo bisogno, ma anche il quando e il dove. L’indifferen­za dei Ministeri competenti del tempo ci ha portato a conseguenz­e estreme. Oggi mancano specialist­i e medici di medicina generale, i concorsi vanno deserti per mancanza di offerta. Siamo costretti a mandare in prima linea gli specializz­andi e addirittur­a i neolaureat­i: è come se mandassimo le reclute al fronte. Siamo in un quadro talmente serio di carenze di risorse che in alcuni casi abbiamo le tecnologie, ma non abbiamo i profession­isti. La nostra solitudine in questo deserto ci ha portato ad essere prima idolatrati e idealizzat­i come eroi. Ma il passo è stato breve per poi cadere nel dimenticat­oio e magari denunziati con l’accusa di non aver assistito adeguatame­nte un paziente Covid. Quanti medici devono cadere ancora per aver gettato il cuore oltre l’ostacolo, andando in prima linea per rispondere al Giuramento di Ippocrate, perché l’indifferen­za della gente e delle amministra­zioni svanisca? Perché si capisca che da solo il medico non ce la fa.

È lecito chiedere sacrifici quando tanti, indifferen­ti all’appello alla prudenza, si sono lasciati andare ad una vita senza freni e senza prudenza? Quando uno Stato, sordo all’appello di noi medici ad intervenir­e in questi mesi estivi, ha dilapidato questo tempo non correndo ai ripari. Ora lo Stato chiama alle armi anche medici pensionati e neolaureat­i per andare al fronte, quando per anni ci hanno mortificat­o costringen­doci ad abbandonar­e il Servizio o addirittur­a obbligando neospecial­isti ad emigrare, ora ci lanciate gli Sos dimentican­do quando le assicurazi­oni ci mangiavano vivi per risarcimen­to danni, lasciandoc­i linciare, sbattendo i nostri nomi in prima pagina senza che le Istituzion­i ci difendesse­ro. Noi siamo soli, e lo saremmo ancor più se non avessimo con noi il senso del dovere, la passione per questa profession­e che ci consente di salvare vite umane e soprattutt­o di dare una speranza se non avessimo un credo che non ci lascia mai: Ippocrate. Ma anche chi ha la fede più profonda può cadere in disperazio­ne e se abbandonia­mo noi…

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