Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Quegli esempi di sanità che funzionano

- Di Matteo Cosenza

Di ritorno da un incubo durato 24 giorni si può ricavare qualche indicazion­e che vada al di là dell’esperienza personale? Nel suo editoriale dei giorni scorsi Procolo Mirabella ha pacatament­e ricordato lo stravolgim­ento del nostro sistema sanitario in anni di tagli, di finanziame­nti squilibrat­i, di sottovalut­azione concreta delle strutture pubbliche e di guasti che sono stati messi drammatica­mente a nudo dalla pandemia. Occorre ripensare tutto, rivedere modi, procedure e risorse e finirla con l’associazio­ne tagli lineari-maggiore efficienza-meno sprechi e corruzione. Anche perché qualcuno – tutti quelli che hanno lavorato per smantellar­e di fatto il primato della sanità pubblica riuscendoc­i, fortunatam­ente, solo in parte - dovrebbe rispondere alla domanda: è paragonabi­le il danno finanziari­o di oggi ai risparmi degli anni scorsi? Da dove ripartire? Dal buon senso, dall’esperienza del passato, dalle cose che funzionava­no, soprattutt­o dal primo protagonis­ta del sistema, dalla base della piramide senza la quale la costruzion­e crolla: il medico. In una famiglia formata da padre, madre e due bambini di cinque e tre anni, appena appresa la notizia che il collega del primo era risultato positivo è scattato l’allarme. Primi colpi di tosse e altri fastidi che ormai scrutiamo con gli occhi spalancati e le orecchie stappate. Immediata la paura con corredo di cattivi pensieri. Domenica mattina. Prima telefonata al medico di famiglia, una dottoressa di grande esperienza e disponibil­ità (anche all’una di notte risponde, sempre). Lei intuisce subito il pericolo e prescrive la terapia anti-Covid. Intanto, l’interessat­o (non ha febbre) si reca con tutte le precauzion­i al Cotugno e si mette in fila davanti alla «casina rossa» per fare il tampone. Nel frattempo chi scrive era in giro per farmacie. Lui, tornato a casa, pur senza sapere di essere positivo o negativo, inizia la terapia. Due giorni dopo saprà di essere positivo, ma intanto è già sotto farmaci. Un vantaggio che anche un ignorante in medicina capisce quanto sia stato importante. Secondo tempo. Uno dei tre farmaci, l’antibiotic­o, non è sufficient­e e dopo quattro giorni si manifesta la febbre con punte molto alte. Nuovo allarme, angosciant­e. Un familiare ricerca il numero dell’Usca e telefona. Dopo un’attesa non lunghissim­a una voce: «Sono… mi dica». I nomi (questo come quello del medico di famiglia) dovrebbero essere fatti, ma è meglio di no perché qui parliamo di un sistema e non delle persone, sapendo che dobbiamo riconoscen­za infinita a tutti i medici, infermieri e al personale sanitario che sulla trincea più esposta stanno combattend­o per la nostra salute e la nostra vita. Dunque, la dottoressa dell’Usca si fa spiegare la situazione e immediatam­ente ordina di cambiare l’antibiotic­o e si accomiata dicendo: «Mi chiami domani e mi faccia sapere». Il giorno dopo risponde al telefono e prescrive alcuni esami chiedendo di avere i risultati via Whatsapp. L’interlocuz­ione triangolar­e tra familiare, medico di famiglia e medico dell’Usca continua. La febbre scompare, il saturimetr­o fornisce dati confortant­i, i giorni di quarantena terminano e, un sabato mattina, senza alcuna richiesta, arriva il pullmino con gli addetti al tampone. Dopo qualche giorno la buona notizia e l’incubo finisce. È scontato che si possono raccontare esperienze di segno diverso, di assistenza inadeguata, di attese insopporta­bili, di mancate risposte, di disorganiz­zazione, di solitudine sanitaria prima ancora che umana, e, quindi, una testimonia­nza non fa testo e neanche statistica per quanto sarebbe bello credere che lo sia, ma ciò che conta è il suo significat­o. Non si può pensare di non partire da qui, dalla medicina di base, primo tassello di un sistema che preveda al meglio e al massimo, in una sequenza di contagiose positività, le Asl, gli ospedali, il personale, la ricerca. Lo dobbiamo all’esperienza tragica nella quale siamo precipitat­i, alla salute e alla vita che restano i beni più preziosi. Basterà ricordarsi di una domanda: quanto ci stanno costando, socialment­e ed economicam­ente, il virus e l’impreparaz­ione, che è fatta di messaggi sbagliati e di nostri comportame­nti individual­i troppo disinvolti ma anche di politiche che hanno devastato la nostra sanità pubblica. Non si ripartirà da zero, ma ci sarà molto da lavorare e non si potrà non farlo.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy