Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Menu di ieri, bontà di oggi Sulle nostre i di duemila anni fa
Nel thermopolium scoperto di recente a Pompei ingredienti e ricette che si tramandano da secoli
Un piatto di lumache e un bicchiere di vino. Questo poteva essere un pranzo tipico consumato presso la tavola calda pompeiana. Non si tratta dell’ultimo ristorante di grido ma di uno dei primi esempi di osteria (thermopolium in latino) che offriva piatti pronti tenuti caldi all’interno di anfore incassate in un bancone.
Il termopolio era stato individuato nel 2019, e aveva attirato subito l’attenzione per le sue ricche decorazioni conservate, grazie all’eruzione del 79 d.C., particolarmente bene: i colori che decorano entrambe le facciate del bancone a L, sono brillanti ed i disegni ben definiti. I dipinti rappresentano i piatti in vendita, come un menu illustrato che proponeva preparazioni a base di maiale, ovo-caprini, uccelli, pesce, lumache e vino corretto con le fave che, probabilmente servivano a migliorarne il gusto e l’aspetto. E chissà, forse quei vini contenevano il genoma di uno dei tanti vitigni tipici della zona vesuviana come il Caprettone o il Lacryma Christi (oggi Doc). Prossimamente gli scienziati esamineranno il contenuto delle anfore per risalire a tutti gli ingredienti e alle ricette antiche ma non ci sarebbe da meravigliarsi se si ritrovassero tracce del pomodorino del piennolo (Dop dal 2009) o di albicocca vesuviana, la famosa pellecchiella, oggi Igp, già nota a Plinio il Vecchio.
La provincia di Napoli è ricchissima di tipicità agroalimentari che gli antichi consumavano quotidianamente. La melannurca campana, dal gusto incomparabile, oggi Igp, ad esempio, era nota da almeno due millenni. La sua raffigurazione nei dipinti rinvenuti negli scavi di Ercolano e in particolare nella Casa dei Cervi, testimonia l’antichissimo legame del frutto con il mondo romano. Luogo di origine sarebbe l’agro puteolano, come si desume dal Naturalis Historia di Plinio il Vecchio.
Proprio per la provenienza da Pozzuoli, dove è presente il lago di Averno, sede degli Inferi, Plinio la chiama Mala Orcula in quanto prodotta intorno all’Orco (gli Inferi).
Tradizionalmente coltivata nell’area flegrea e vesuviana, la melannurca campana Igp si è andata diffondendo nel secolo scorso prima nelle aree aversana, maddalonese e beneventana, poi nel nocerino e nel casertano.
Probabilmente la cucina partenopea non sarebbe altrettanto famosa se non avesse avuto a disposizione le migliori materie prime provenienti, in gran parte, dalla fertile provincia i cui terreni sono intrisi delle particelle vulcaniche e inondati dallo iodio marino. Cosa sarebbe il ragù senza il pomodoro San Marzano e gli zitoni spezzati di Gragnano Igp condito con il profumato olio della Costiera sorrentina?
“Scarpetta” obbligatoria con il pane di San Sebastiano o di Villaricca (entrambi Pat),
L’hinterland gustoso La cucina partenopea non sarebbe così buona senza le materie prime della provincia
un pezzo di treccia o fiordilatte di Vico Equense prodotti con il latte da mucca agerolese (utilizzato anche per il Provolone del Monaco Dop) e un bicchiere di Gragnano - Penisola Sorrentina Doc.
Per concludere il pasto, una delizia al limone che nemmeno esisterebbe senza gli agrumi della Costiera accompagnata, per rimanere in tema, da un bicchierino di limoncello ghiacciato rigorosamente artigianale.