Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Il comandante che domò «Mary» E la flotta di barche a vela d’epoca
L’appassionante storia di Giancarlo Antonetti: uscì indenne da un ciclone e poi, dopo aver girato il mondo per 45 anni, una nuova vita a recuperare scafi
Il battesimo del mare per il comandante sorrentino Giancarlo Antonetti fu un ciclone che si chiamava Mary. «Avevo 17 anni – ricorda – e mi imbarcai con una nave di Achille Lauro. Mamma era di Meta, la Camogli del sud, terra di marinai. In famiglia ne avevo tanti e seguii il loro esempio». La nave era stata ripescata dal fondale, perché affondata durante la seconda guerra mondiale, e risistemata alla buona e meglio. «Salpammo da Barletta diretti in un porto nei pressi di Odessa. Lì caricammo minerali di cromo e facemmo rotta verso Charleston, negli Stati Uniti. A cento miglia dalla costa americana incappammo in Mary. La nave rollava in maniera spaventosa. Il comandante fu sbalzato da una parte all’altra del ponte, credevamo fosse morto. La tempesta ci spinse sopra Capo Hatteras. In qualche modo ne uscimmo. Dopo quello spavento ho continuato per tradizione familiare, per amore di mia moglie – volevo un lavoro che mi desse la possibilità di sistemarmi – e perché ci si appassiona perfino al mare in tempesta quando si supera».
Va avanti sul filo della memoria: «Ho navigato per 45 anni ed ho girato il mondo. Sono stato in Giappone, Thailandia, Giakarta. Per le Colombiadi ho fatto la traversata atlantica su un gozzo di 16 metri con Giovanni Aimone Cat». Tra un imbarco e l’altro Antonetti si innamora delle barche a vela d’epoca. «Aderii ad un Cinefotoclub, era il 1974 o forse il 1975. Facevano cultura con la C maiuscola. Poiché la nostra penisola sorrentina è intrisa del sale del mare e di cose marinare partecipai con il Cineclub a ricerche sulla marineria. Poi nel 1979 a
Sorrento ci fu l’anno ecologico promosso dal Comune. Fu una grossa manifestazione. Il cavallo di battaglia fu proprio la mostra sulla marineria sorrentina di cui curai le stampe. Da allora mi sono sempre più interessato alle barche a vela d’epoca. Quelle da lavoro, non da regata, che si utilizzavano per la pesca, per portare carichi, come ristoranti e per altre attività». La prima che ha posseduto era da carovana. «L’ho salvata dalla distruzione. Per anni era andata sotto i vaporetti a prendere i clienti degli alberghi per portarli a terra. Era di un mio cognato ed era stata abbandonata su una spiaggia. Io avevo letto su Yachting italiano, il giornale di Bruno Ziravello, un articolo nel quale si raccontava che in
Sardegna i pescatori ponzesi i quali andavano sull’isola a pescare coralli ed aragoste avevano organizzato una traversata di barche a vela d’epoca tra Stintino e l’Asinara e mi venne l’idea di recuperare quella imbarcazione. Mi prestarono un carrello, feci piccoli lavori di rattoppo, comprai le vele con un contributo di 500.000 lire dell’azienda di cura soggiorno e turismo e mi lanciai. Avevo già una certa esperienza di vela perché quando navigavo con Tirrenia avevo partecipato ai corsi riservati ai dipendenti della compagnia nei villaggi Valtour. Con quel sei metri partecipai alla regata in Sardegna e poi provai a fare qualcosa di simile a Sorrento».
Sono nati così l’associazione Asso Vela a Tarchia ed il trofeo Eduardo De Martino, che per trent’anni ha visto gareggiare nelle acque della penisola sorrentina barche a vela di epoca provenienti da ogni parte d’Italia. «Oggi – scherza il comandante Antonetti – ho una piccola flotta. Fara, un dinghi di 14 piedi; Santa Rosa, la vela latina più veloce del Mediterraneo, che ha vinto tante regate. Mio figlio Renato ne ha una che è stata costruita dal padre di Mauro Pellaschier». Poi c’è Sunshine Giò Giò, che occupa un posto speciale. Giò Giò era infatti il soprannome di Giovanni, uno dei figli del comandante, consigliere comunale a Sorrento in prima linea nel contrastare i progetti di cementificazione del territorio. A maggio saranno nove anni dalla sua scomparsa. Si attende che gli sia dedicato il frutteto in vico III Rota che le sue denunce salvarono dalle ruspe.