Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il che rassicura i naviganti Napoli ha adottato i d’Italia

Ha sede nel capoluogo di regione la direzione della Marina Militare che custodisce e controlla tutte le torri luminose

- Marco Molino

Un bagliore lacera le tenebre e gli infreddoli­ti naviganti avvertono quel rassicuran­te tepore nelle ossa, nonostante in plancia prosegua impeccabil­e il lavoro dei moderni strumenti digitali. Gli uomini di mare sono infatti consapevol­i che quel raggio proiettato dal faro nella notte è come un filo magico che li lega alla terraferma, aiutandoli ad orientarsi e a superare momenti difficili. In cima alle torri solitarie si sono succedute le epoche, dai primi falò di fascine ai più avanzati pannelli a led, eppure le “lanterne” del terzo millennio rimangono con le fondamenta ben piantate nella storia. Sarà per questo felice connubio tra antiche suggestion­i marinare e progresso tecnologic­o che proprio a Napoli è stata costituita la Direzione Fari e Segnalamen­ti responsabi­le per tutto il territorio nazionale, team specializz­ato della Marina Militare insediato nella base navale del Molo San Vincenzo.

Sono 147 i fari oggi attivi sulle coste italiane, ai quali si aggiungono 713 fanali (comprese mede e boe), da Trieste a Pantelleri­a. Lungo questo confine luminoso della penisola intervengo­no gli operatori coordinati dal centro partenopeo, ramo del Comando Logistico che ha sede a Nisida, impegnato a pianificar­e e curare il funzioname­nto degli ausili visivi alla navigazion­e; patrimonio anche culturale e paesaggist­ico che ha trovato nel capoluogo campano i suoi custodi.

«La e-navigation è stata un importante passo avanti per

sicurezza dei marittimi, ma non dobbiamo mai dimenticar­e che si tratta sempre di un’attività legata all’uomo e alle sue capacità», spiega il capitano di vascello Angelo Patruno, comandante della

Direzione Fari.. «Da Napoli siamo costanteme­nte collegati con l’ufficio tecnico a La Spezia e con gli altri comandi territoria­li a Venezia, Taranto, La Maddalena e Messina. Fondamenta­le però il compito ispettivo e non solo per le ovvie necessità di controllo: arricchisc­e infatti il contatto diretto con i faristi, civili al servizio del ministero della Difesa, persone affascinan­ti e con un notevole bagaglio umano e culturale, spesso figli o nipoti d’arte».

È dal 1911 che la Marina Militare cura la gestione dei fari sul territorio nazionale. Diciassett­e di questi sono abbarbicat­i sui ripidi promontori della Campania, a picco sul Tirreno. Nidi fuori dal mondo, ma pregni di memoria. Come il faro di Capo d’Orso a Maiori, realizzato nel 1882 e oggi curato dal Wwf che organizza sull’oasi naturale (lockdown permettend­o) iniziative di turismo responsabi­le e birdwatchi­ng. All’interno c’è ancora il forno che la famiglia del guardiano utilizzava per il pane. Echi di remote battaglie si avvertono invece presso il faro di punta Carena a Capri, secondo in Italia per dimensione e portata luminosa dopo la Lanterna di Genova. Dietro la torre c’è un muraglione innalzato all’inizio dell’Ottocento dagli inglesi per fronteggia­re attacchi di navi nemiche. E la storia ha incrociato i destini anche del faro di Capo Miseno, posizionat­o all’estremità settentrio­nale del Golfo di Napoli. Distrutto nel 1943 dai bombardame­nti tedeschi, fu ricostruit­o dopo la guerra in cima ad una scalinata panoramica che i visitatori percorrono come in procession­e: è uno dei monumenti “moderni” dell’area flegrea.

Responsabi­le dei fari campani, oltre a quelli del Lazio e delle Isole Pontine, è il capitano di fregata Raffaele Menla

cucci, che si definisce un logistico operativo.

«Quando c’è un malfunzion­amento causato magari dalle dure condizioni meteo marine – racconta – ci arriva un messaggio sms e una squadra interviene prontament­e per riparare o sostituire un quadro di comando o una lampada. Ma al di là dell’efficienza delle apparecchi­ature, resta il fascino di queste imponenti strutture che vanno tutelate dal punto di vista architetto­nico».

Pure lo skyline del capoluogo è dominato da un faro, quello edificato nel 1916 sul Molo San Vincenzo, che svetta con i suoi 24 metri d’altezza sulla diga foranea borbonica, aperta al pubblico in speciali occasioni grazie all’impegno dell’associazio­ne “Friends of Molo San Vincenzo”.

La Real Marina dell’epoca aveva realizzato proprio qui un grande arsenale e un bacino di raddobbo, il primo del suo genere in Italia. Vi era inoltre una fabbrica di cannoni

In provincia

Per luce Capri seconda struttura in Italia A Capo Miseno scalini che portano in cima

e un efficiente porto militare.

«Nonostante il tempo trascorso ed il significat­ivo ridimensio­namento degli spazi e delle strutture in dotazione, oggi come nel passato la Marina Militare non può fare a meno di Napoli», dichiara l’ammiraglio di squadra Eduardo Serra, alla guida del comando logistico nazionale dal 2017.

«Attraverso il comando, abbiamo avviato numerose collaboraz­ioni con le Università e le tante eccellenze locali, pubbliche e private, per condivider­e esperienze nel complesso mondo della marittimit­à con l’obiettivo di una crescita comune».

Ed ecco che i fari diventano infine un’utile metafora per la nostra capitale mediterran­ea, che nella vocazione marinara ha forse ritrovato la sua luce-guida.

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Il faro di Capo Miseno, distrutto nel 1943 dai tedeschi e poi ricostruit­o. In basso, il faro di punta Carena, a Capri, secondo in Italia dopo la Lanterna di Genova
Orientamen­to e sicurezza Il faro di Capo Miseno, distrutto nel 1943 dai tedeschi e poi ricostruit­o. In basso, il faro di punta Carena, a Capri, secondo in Italia dopo la Lanterna di Genova

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