Corriere del Mezzogiorno (Campania)

C’era una volta a la italiana più buona del mondo

Venti anni fa il film-tv «Francesca e Nunziata» raccontò l’epopea descritta nel romanzo di Maria Orsini Natale

- Michelange­lo Iossa

Sophia Loren, Giancarlo Giannini, Luciano De Crescenzo, Claudia Gerini e Raoul Bova: un cast da kolossal dell’audiovisiv­o italiano quello di Francesca e Nunziata, film per la tv che venne presentato 20 anni fa al festival del cinema di Montréal. Diretta da Lina Wertmuller, la pellicola fu trasmessa l’anno seguente in Italia e in molti Paesi del mondo.

Nel 1995, Avagliano Editore aveva pubblicato l’omonimo romanzo di Maria Orsini Natale, scrittrice, giornalist­a e poetessa di Torre Annunziata. Finalista al Premio Strega, quel libro si trasformò in uno dei titoli italiani più letti e tradotti degli anni ‘90. Wertmuller aveva scoperto le pagine di Francesca e Nunziata ancor prima che si trasformas­sero in un romanzo: la regista romana concepì un progetto televisivo che ebbe nell’isola di Procida il suo set principale. La Capitale Italiana della Cultura 2022 “interpretò”, infatti, il ruolo della Torre Annunziata degli inizi del XX secolo.

Esattament­e 140 anni fa, nel 1881, il quarantenn­e Domenico Orsini inaugurò il primo mulino a vapore di Torre Annunziata. La pronipote Maria imprigionò quella vicenda e i suoi protagonis­ti nelle pagine di Francesca e Nunziata. La città vesuviana era epicentro mediterran­eo della cosiddetta “arte bianca”, quella speciale quality territoria­le nel produrre le paste più buone del mondo.

Quello torrese fu un polo industrial­e di primissimo piano, mortificat­o da crisi economiche, aziendali o familiari, ma soprattutt­o dall’invasione dei tedeschi, che utilizzaro­no diversi pastifici come depositi di armi e avamposti sul territorio vesuviano durante il secondo conflitto mondiale.

Le innovazion­i tecnologic­he e le esigenze di un mercato via via più complesso imposero ai pastai di Torre Annunziata e di Gragnano, ancor oggi città-simbolo della pasta in Campania, di investire nella qualità del prodotto e di ideare nuovi tipi di pasta. All’indomani della Mostra di Cereali dell’Esposizion­e di Parigi del 1878, i pastai di Torre Annunziata divennero i principali esportator­i italiani di pàtes alimentair­es, vermicelli et macaron e i nomi dei pastifici torresi conquistar­ono l’Europa a cavallo tra i due secoli: i Cirillo, gli Jennaco, i Cesaro, i Pappalardo, i Manzillo e i Manzo di Cosmo.

Gli Japicca furono, ad esempio, i primi a pubblicare annuari in doppia lingua (italiano e francese) e a introdurre il calendario aziendale bilingue come oggetto di marketing durante le fiere espositive e gli incontri commercial­i. Tra gli altri, si faceva notare anche Aurelio De Laurentiis, produttore di una pasta “extra di lusso” e nonno dell’attuale presidente del Napoli. Da quel momento, l’ascesa fu inarrestab­ile: Vojello, Russo e Setaro sono cognomi che ancora oggi tracciano il mercato della pasta.

Etica dell’impresa, ricerca industrial­e e cultura generarono un’ideale sintesi che può far riflettere sulle strategie di marketing territoria­le della contempora­neità: nel suo romanzo, Orsini Natale raccontava una Torre Annunziata che fu centro imprendito­riale e culturale del Mezzogiorn­o, capace di generare producer hollywoodi­ani come Dino De Laurentiis o intellettu­ali come Michele Prisco.

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Due immagini d’archivio dei pastai al lavoro a Torre Annunziata: Quello torrese fu un polo industrial­e di primissimo piano, mortificat­o da crisi economiche, aziendali o familiari, ma soprattutt­o dall’invasione dei tedeschi
Nel secolo scorso Due immagini d’archivio dei pastai al lavoro a Torre Annunziata: Quello torrese fu un polo industrial­e di primissimo piano, mortificat­o da crisi economiche, aziendali o familiari, ma soprattutt­o dall’invasione dei tedeschi

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