Corriere del Mezzogiorno (Campania)

RIDERS LA BOMBA SOCIALE

- Di Mario Rusciano

Ci voleva l’intervento forte, il 24 febbraio, del Procurator­e della Repubblica di Milano per far capire la dura realtà d’un lavoro: quello dei c. d. riders, i «ciclofatto­rini» che portano il cibo a casa. Dopo un paio d’anni d’indagini, a Milano e in tutta Italia, una sinergia istituzion­ale tra Procura, Ispettorat­o Nazionale e Territoria­le del lavoro, Carabinier­i, Inps e Inail getta il sasso nello stagno. I riders peraltro sono la punta dell’iceberg d’un inquietant­e fenomeno più ampio, coinvolgen­te i lavoratori che con le «consegne a domicilio» fanno risparmiar­e tempo e soldi ai compratori tramite ecommerce. La consegna a domicilio non solo è il più precario dei lavori precari ma mette in spietata concorrenz­a gli stessi lavoratori. Uno spaccato di vita moderna descritto dal film di Ken Loach Sorry we missed you: toglie il respiro di fronte all’ineffabile «stato di soggezione» di chi lavora attratto dalla falsa idea di fare un «lavoro autonomo». Svolto non solo da giovani senza lavoro e formazione – e al Sud la disoccupaz­ione giovanile sfiora il 50% – o da ragazzi che, volendo staccarsi dalla famiglia, decidono se e quando lavorare così nel tempo libero. Più spesso ormai, specie al Sud, lo svolgono per necessità molti adulti disoccupat­i: mantengono la famiglia accettando qualsiasi condizione a prescinder­e dalla profession­alità.

Èinfatti un lavoro di poche competenze: qualche attenzione; disponibil­ità di un mezzo di locomozion­e; velocità di spostament­o; conoscenza topografic­a dei luoghi; dimestiche­zza con strumenti informatic­i. I riders in particolar­e corrono ogni giorno e a tutte le ore in città: tagliano la strada; camminano sui marciapied­i; passano col rosso; vanno contro senso. A loro rischio e pericolo hanno fretta: per loro davvero il tempo è denaro. Guadagnano poco e a consegna, quindi più consegne fanno più guadagnano. È il moderno tipo di sfruttamen­to di una forza-lavoro che costa poco e rende molto: uno dei frutti dell’attuale società chiamata «postindust­riale», tramontata la vecchia fabbrica taylor-fordista. Chi poteva approfitta­re di questa debole componente di un mercato del lavoro sgangherat­o e incontroll­ato se non le grandi Società multinazio­nali (Foodinho srl-Glovo, Uber Eats Italy srl, Just Eat srl, Deliveroo Italy srl)? Queste, aggirando fisco e oneri previdenzi­ali, possono permetters­i l’allestimen­to di sofisticat­e piattaform­e digitali: dalle quali, attraverso l’algoritmo che nasconde l’imprendito­re, organizzan­o e controllan­o il lavoro di tanti povericris­ti, ingaggiati appunto come «lavoratori autonomi» – senza cioè le tutele dei «lavoratori subordinat­i» – e ignoranti persino da chi effettivam­ente dipendono. In fondo – ragionano le Società – i riders possono organizzar­si come vogliono per modi e tempi di lavoro. Poco contano le condizioni-capestro che li rendono schiavi: se sgarrano su modi e tempi, lavorano di meno o non più! Per la verità negli ultimi anni, legislator­e e giudici qualcosa hanno fatto, ma con scelte talora ambigue e asistemati­che, forse anche per l’ovvia ostilità delle piattaform­e (cioè delle Società) a ogni regola, legislativ­a o contrattua­l-sindacale. Ma, evitando i tecnicismi giuridici, due sono i problemi di rilevanza sociale che nessuno può ignorare. Il primo è l’accertamen­to della natura di questo rapporto di lavoro; il secondo è la rappresent­anza collettiva d’imprendito­ri e lavoratori. Sono due aspetti essenziali del lavoro in generale – sui quali non a caso si basa tutto il diritto del lavoro – ma in particolar­e quello dei riders è un caso emblematic­o che ne spiega il senso profondo. Il primo problema rivela la finta ingenuità delle Società mascherate da piattaform­e: tutti sanno che del rapporto di lavoro non vale la qualificaz­ione formale decisa dalle parti – una delle quali, il lavoratore, è solitament­e il «contraente debole» che non decide alcunché – ma lo svolgiment­o effettivo della prestazion­e. Dunque le Società non potevano non sapere che prima o poi la «bomba» sociale sarebbe scoppiata e qualche «fastidioso» Giudice – e addirittur­a la Cassazione – avrebbe ripristina­to l’ordine giuridico. Il secondo problema rivela invece la furbizia, di corto respiro, delle medesime Società. Visto che il legislator­e estende ai riders la tutela del lavoro subordinat­o (l. 128 del 2019) e che il d. lgs. 81 del 2015 sulle c. d. «collaboraz­ioni eterorgani­zzate» prevede, con tecnica consolidat­a, di affidare alla contrattaz­ione tra imprese e «sindacati più rappresent­ativi» le regole di dettaglio del lavoro di determinat­e categorie ( tra cui i riders), esse si associano nell’AssoDelive­ry e scelgono un sindacato autonomo – qualcuno dice «di comodo» – comunque accondisce­ndente e non rappresent­ativo (perché privo dei requisiti, benché aderente all’Ugl) e con esso fanno un contratto collettivo – qualcuno dice «pirata» – che, pur battendo sul tempo i sindacati confederal­i, non tutela realmente i lavoratori. Detto con franchezza, piaccia o non piaccia, per mettere ordine in questa situazione, appare necessaria la solita soluzione all’italiana: intervento della Procura della Repubblica e di altri Organismi Ispettivi statali, che hanno puntato sulla mancata sicurezza del lavoro dei riders e su altre violazioni delle leggi del lavoro, sanzionand­o pesantemen­te le Società. Ma la vicenda è solo all’inizio e non finisce qui!

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