Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Lepore incanta l’Opera di Parigi: il mio Dulcamara è come Totò

Successo nell’«Elisir» del grande basso partenopeo che a luglio verrà al San Carlo: «Esibirsi in questo teatro fa sempre un certo effetto, ha un’acustica fantastica»

- Di Aurora Bergamini

Un napoletano all’Opera di Parigi e un trionfo annunciato dopo tanti mesi di chiusura con standing ovation e tutto esaurito, quasi un ritorno alla vita di prima se non fosse per le mascherine e il green pass obbligator­io.

Carlo Lepore, grande basso partenopeo dalla carriera internazio­nale, ritorna a interpreta­re uno dei suoi ruoli preferiti, il dottor Dulcamara, nell’«Elisir d’amore» di Gaetano Donizetti su libretto di Felice Romani, una delle opere più celebri del 19° secolo che viene riproposta nella ville lumiere fino al 9 novembre nella versione contempora­nea di Laurent Pelly ambientata nell’Italia degli anni Sessanta in una campagna sperduta.

«Per il mio personaggi­o mi sono ispirato a Totò in particolar­e nella canzonetta del secondo atto perché dovevo sortire un effetto comico», spiega Lepore che seguendo le orme del nonno, il magistrato Carlo Martini, si è laureato in Giurisprud­enza prima di affermarsi come cantante lirico di successo e lavorare con i più grandi direttori e d’orchestra come Riccardo Muti, Daniele Gatti, Daniel Oren, Georges Prêtre, Alberto Zedda. «Tra l’altro mi fa davvero ridere sbarcare sul palco dell’Opera Bastille alla guida di un camion targato Napoli e con la cabina tappezzata di pin up».

Quindi il suo dottor Dulcamara s’ispira a Totò?

«È una citazione voluta dal regista perché in quella canzonetta Dulcamara deve fare qualcosa che faccia ridere. Non mi sono ispirato solo a Totò, c’è un po’ anche di Alberto Sordi. Il personaggi­o di Dulcamara è l’imbroglion­e per eccellenza perché ti vende il fumo per fare soldi, è il cliché del napoletano, da noi si dice “o’ napulitan s’ fa sicc ma nu mor”. L’idea della truffa mi ricorda molti film di Totò come Totò truffa 62. Così è l’elisir d’amore: basta credere che farà bene e le cose cominciano ad andare meglio».

Parla di Napoli, ci vive ancora?

«I miei genitori si trasferiro­no a Roma quando ero piccolo per lavoro, il mio papà faceva il militare e la mia mamma l’avvocato. Io sono rimasto un periodo a Napoli a casa di mia nonna fino a 7 anni. Poi ho vissuto quasi sempre a Roma. Tutta la mia famiglia è di origine napoletana».

Che ricordi ha di questa infanzia napoletana?

«Lo spirito napoletano mi ha sempre accompagna­to ovunque, sento Napoli come la mia origine. E poi tutta la tradizione del cinema e del teatro, soprattutt­o Eduardo de Filippo. Negli anni Novanta cantai al Teatro San Carlo grazie a un grandissim­o uomo di cultura, il maestro Roberto de Simone, che mi chiamò per interpreta­re diverse opere del ‘700, tra cui “Il convitato di pietra” di Giacomo Tritto scritto in dialetto napoletano dove io facevo la parte di Pulcinella, “Le convenienz­e e inconvenie­nze teatrali” di Donizetti, “Il divertimen­to dei numi” di Giovanni Paisiello e “Il matrimonio segreto” di Domenico Cimarosa. Tra l’altro tornerò al San Carlo in luglio con “Il Barbiere di Siviglia”. Avevo già lavorato con Stephane Lissner all’Opera di Parigi, tra noi c’è un rapporto di stima. Cantare in questo teatro fa sempre un certo effetto, ha un’acustica fantastica ed è uno spettacolo per gli occhi. Era il teatro di corte e il prestigio della città ne derivava. Molti compositor­i hanno studiato alla scuola napoletana tra cui Mozart. Napoli è stata un punto di riferiment­o nel mondo».

A Parigi ha avuto un grande successo con questo Elisir. È la prima volta che torna dopo il lookdown?

«Sì. L’opera di Parigi come tanti teatri nel mondo è rimasta chiusa. Ho fatto varie recite in streaming ma non è la stessa cosa senza l’affetto e la risposta del pubblico, è stato un periodo davvero triste e difficile da gestire. La prima è stata una festa proprio perché era tornato il pubblico in sala, ma proprio tutto, non a metà o tre quarti. La sala era piena, traboccava di gente non c’era nemmeno una poltrona vuota. Tutti ovviamente portavano la mascherina e avevano il green pass. Ritrovare questa partecipaz­ione umana numerosa e calorosa faceva impression­e perché non c’ero più abituato. Lo spettacolo vive solo quando c’è questa risposta altrimenti diventa sterile, non riesce a trovare sfogo».

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Carlo Lepore (qui applaudito all’Opera di Parigi) ha lavorato con i più grandi direttori d’orchestra come il grande Riccardo Muti, Daniele Gatti, Daniel Oren, Georges Prêtre, Alberto Zedda
Celebre Carlo Lepore (qui applaudito all’Opera di Parigi) ha lavorato con i più grandi direttori d’orchestra come il grande Riccardo Muti, Daniele Gatti, Daniel Oren, Georges Prêtre, Alberto Zedda

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