Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Laicità e libertà
Il tema della «laicità» viene oggi svolto e discusso fra due illustri studiosi: un alto prelato, monsignor Giuseppe Sciacca, che ha dedicato pagine profonde alla struttura del diritto canonico (da ultimo, in Nodi di una giustizia, con prefazione del cardinale Walter Kasper); e il professore Alberto Melloni, figura eminente nelle indagini di storia del Cristianesimo.
La parola «laicità» ha ancora bisogno di una determinazione logica, distinguendola da altre che la volgarizzano e intorbidano. Così da «laicismo», che, simmetrico a «clericalismo», designa fenomeni di costume, di negazione e rifiuto emotivo, di umori o rancori ottocenteschi.
Della parola bisogna altresì segnalare l’intrinseca storicità, nel senso che essa rispecchia le condizioni di singoli periodi o di singoli paesi. Non si offre a una definizione stabile e rigida, valida per ogni tempo e luogo, ma prende sempre significato da una data situazione storica.
In Italia la parola e il concetto non sono disgiungibili dalla storia delle relazioni fra Stato e Chiesa Cattolica e dalla grande controversia dottrinale sui ‘sistemi’ di coesistenza: separazione, giurisdizionalismo, concordato.
La soluzione, adottata dalla Costituzione repubblicana negli articoli 7 e 8, non offre — né forse poteva offrire — una risposta logicamente rigorosa. L’articolo 7 si apre con il comma: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani». Ma la norma tace sul criterio determinativo dei due ‘ordini’, sicché ciascuna delle parti può rivendicare la potestà di definirlo (è la antica competentia competentiae )e di circoscriverne i confini. La norma prosegue con: «I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi», cioè dal Trattato e dal Concordato del 1929, che sono convenzioni di carattere paritetico, vincolanti sul piano del diritto internazionale. Gli «ordini» stanno l’uno di fronte all’altro, e non l’uno dentro l’altro.
L’articolo 8 enuncia, con riguardo alle confessioni religiose non cattoliche, il principio di eguale libertà dinanzi alla legge, di autonomia organizzativa, di capacità negoziale con lo Stato. La norma, rinviando alla legge e all’ordinamento giuridico italiano, è tutta interna al diritto statale: non disciplina rapporti fra ordini sovrani, ma — come prevede l’articolo 19 — libertà entro i confini della statualità e dei suoi principî. Le «intese», stipulate con lo Stato, sono soltanto una ‘base’ per la disciplina legislativa, e nulla hanno del carattere internazionale dei Patti Lateranensi.
Se laicità significa che lo Stato sta da sé, e lascia tutte le confessioni religiose (ed anche la cattolica) entro la sfera della libertà, allora deve concludersi che lo Stato italiano non è né laico né neutrale. Esso riconosce la Chiesa cattolica come «ordine indipendente e sovrano», soggetto capace di negoziare e stipulare accordi (appunto, i Patti Lateranensi) che rientrano nel diritto internazionale.
Mentre la libertà religiosa e organizzativa delle altre confessioni religiose si svolge e determina entro la sfera della statualità, la Chiesa Cattolica ha, essa stessa, la propria suprema sovranità, da cui nascono i ‘patti’ con lo Stato.
Queste notazioni, sottoposte al dialogo dei due illustri studiosi, muovono dalla distinzione fra laicità e libertà religiosa, che non coincidono né s’identificano. La libertà religiosa, garantita dalla nostra Costituzione, si mostra compatibile con la perdita della laicità. Uno Stato non laico né neutrale può ben essere uno Stato liberale, dove le altre confessioni religiose, diverse dalla Cattolica, trovano garanzie di libertà di fede, di autonomia organizzativa, di capacità di stipulare «intese» con lo Stato.
Ma altro è posizione all’interno del diritto statale, si chiami libertà o autonomia, altro il reciproco riconoscimento di due ordini indipendenti e sovrani. Dove «ordine» designa una sfera di vita, che lo Stato non ha in sé, ma trova e riconosce dinanzi o di contro a sé.
Le due «sovranità» hanno pari dignità storica, logica, giuridica: nessuna di esse, appunto perché sovrane, riconosce altro sopra di sé. Fu proprio l’alta posizione, riservata alla Chiesa Cattolica e resa manifesta nelle trattative e nelle clausole dei Patti Lateranensi, e poi nell’odierno testo costituzionale dell’articolo 7, a condurre Benedetto Croce ai voti contrarî del 1929 e del 1947. La libertà nell’ambito dello Stato italiano — dichiarò il filosofo nella tornata senatoria del 24 maggio 1929 — «era il solo dono che il pensiero moderno potesse offrire alla Chiesa», il dono della libera gara dei culti, dove ciascuno esprime la propria capacità spirituale e morale. Ma la Chiesa preferì trarsi fuori dalla gara, e negoziare e stipulare Patti con lo Stato.
Il problema fondamentale nelle relazioni fra lo Stato ed i culti religiosi — come ben avvertì Francesco Ruffini in quel saggio su Diritti di libertà, che, uscito nel 1926 per le edizioni di Piero Gobetti, fu tra gli estremi sussulti della coscienza italiana — è nelle ‘guarentigie’, ossia nelle pratiche e concrete garanzie predisposte per ciascuno di essi. In tale prospettiva, sarebbe arduo negare che la posizione della Chiesa Cattolica è, per dir così, assai più protetta e assicurata di quella degli altri culti. Si comprende allora come «laicità» serva ad esprimere il sentimento, tra fiero e orgoglioso, delle istituzioni pubbliche, quasi a difenderle nei confronti dell’altro ordine sovrano. Un sentimento, che non si prova per i culti acattolici, considerati come formazioni interne all’ordine statale. Questi, i grandi e ardui temi affidati ai nostri illustri ospiti.
All’Istituto per gli studi storici fondato da Benedetto Croce «Conversazioni» aperte alla città Oggi dialogo tra Giuseppe Sciacca e Alberto Melloni