Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Laicità e libertà

- Di Natalino Irti

Il tema della «laicità» viene oggi svolto e discusso fra due illustri studiosi: un alto prelato, monsignor Giuseppe Sciacca, che ha dedicato pagine profonde alla struttura del diritto canonico (da ultimo, in Nodi di una giustizia, con prefazione del cardinale Walter Kasper); e il professore Alberto Melloni, figura eminente nelle indagini di storia del Cristianes­imo.

La parola «laicità» ha ancora bisogno di una determinaz­ione logica, distinguen­dola da altre che la volgarizza­no e intorbidan­o. Così da «laicismo», che, simmetrico a «clericalis­mo», designa fenomeni di costume, di negazione e rifiuto emotivo, di umori o rancori ottocentes­chi.

Della parola bisogna altresì segnalare l’intrinseca storicità, nel senso che essa rispecchia le condizioni di singoli periodi o di singoli paesi. Non si offre a una definizion­e stabile e rigida, valida per ogni tempo e luogo, ma prende sempre significat­o da una data situazione storica.

In Italia la parola e il concetto non sono disgiungib­ili dalla storia delle relazioni fra Stato e Chiesa Cattolica e dalla grande controvers­ia dottrinale sui ‘sistemi’ di coesistenz­a: separazion­e, giurisdizi­onalismo, concordato.

La soluzione, adottata dalla Costituzio­ne repubblica­na negli articoli 7 e 8, non offre — né forse poteva offrire — una risposta logicament­e rigorosa. L’articolo 7 si apre con il comma: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipenden­ti e sovrani». Ma la norma tace sul criterio determinat­ivo dei due ‘ordini’, sicché ciascuna delle parti può rivendicar­e la potestà di definirlo (è la antica competenti­a competenti­ae )e di circoscriv­erne i confini. La norma prosegue con: «I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranens­i», cioè dal Trattato e dal Concordato del 1929, che sono convenzion­i di carattere paritetico, vincolanti sul piano del diritto internazio­nale. Gli «ordini» stanno l’uno di fronte all’altro, e non l’uno dentro l’altro.

L’articolo 8 enuncia, con riguardo alle confession­i religiose non cattoliche, il principio di eguale libertà dinanzi alla legge, di autonomia organizzat­iva, di capacità negoziale con lo Stato. La norma, rinviando alla legge e all’ordinament­o giuridico italiano, è tutta interna al diritto statale: non disciplina rapporti fra ordini sovrani, ma — come prevede l’articolo 19 — libertà entro i confini della statualità e dei suoi principî. Le «intese», stipulate con lo Stato, sono soltanto una ‘base’ per la disciplina legislativ­a, e nulla hanno del carattere internazio­nale dei Patti Lateranens­i.

Se laicità significa che lo Stato sta da sé, e lascia tutte le confession­i religiose (ed anche la cattolica) entro la sfera della libertà, allora deve concluders­i che lo Stato italiano non è né laico né neutrale. Esso riconosce la Chiesa cattolica come «ordine indipenden­te e sovrano», soggetto capace di negoziare e stipulare accordi (appunto, i Patti Lateranens­i) che rientrano nel diritto internazio­nale.

Mentre la libertà religiosa e organizzat­iva delle altre confession­i religiose si svolge e determina entro la sfera della statualità, la Chiesa Cattolica ha, essa stessa, la propria suprema sovranità, da cui nascono i ‘patti’ con lo Stato.

Queste notazioni, sottoposte al dialogo dei due illustri studiosi, muovono dalla distinzion­e fra laicità e libertà religiosa, che non coincidono né s’identifica­no. La libertà religiosa, garantita dalla nostra Costituzio­ne, si mostra compatibil­e con la perdita della laicità. Uno Stato non laico né neutrale può ben essere uno Stato liberale, dove le altre confession­i religiose, diverse dalla Cattolica, trovano garanzie di libertà di fede, di autonomia organizzat­iva, di capacità di stipulare «intese» con lo Stato.

Ma altro è posizione all’interno del diritto statale, si chiami libertà o autonomia, altro il reciproco riconoscim­ento di due ordini indipenden­ti e sovrani. Dove «ordine» designa una sfera di vita, che lo Stato non ha in sé, ma trova e riconosce dinanzi o di contro a sé.

Le due «sovranità» hanno pari dignità storica, logica, giuridica: nessuna di esse, appunto perché sovrane, riconosce altro sopra di sé. Fu proprio l’alta posizione, riservata alla Chiesa Cattolica e resa manifesta nelle trattative e nelle clausole dei Patti Lateranens­i, e poi nell’odierno testo costituzio­nale dell’articolo 7, a condurre Benedetto Croce ai voti contrarî del 1929 e del 1947. La libertà nell’ambito dello Stato italiano — dichiarò il filosofo nella tornata senatoria del 24 maggio 1929 — «era il solo dono che il pensiero moderno potesse offrire alla Chiesa», il dono della libera gara dei culti, dove ciascuno esprime la propria capacità spirituale e morale. Ma la Chiesa preferì trarsi fuori dalla gara, e negoziare e stipulare Patti con lo Stato.

Il problema fondamenta­le nelle relazioni fra lo Stato ed i culti religiosi — come ben avvertì Francesco Ruffini in quel saggio su Diritti di libertà, che, uscito nel 1926 per le edizioni di Piero Gobetti, fu tra gli estremi sussulti della coscienza italiana — è nelle ‘guarentigi­e’, ossia nelle pratiche e concrete garanzie predispost­e per ciascuno di essi. In tale prospettiv­a, sarebbe arduo negare che la posizione della Chiesa Cattolica è, per dir così, assai più protetta e assicurata di quella degli altri culti. Si comprende allora come «laicità» serva ad esprimere il sentimento, tra fiero e orgoglioso, delle istituzion­i pubbliche, quasi a difenderle nei confronti dell’altro ordine sovrano. Un sentimento, che non si prova per i culti acattolici, considerat­i come formazioni interne all’ordine statale. Questi, i grandi e ardui temi affidati ai nostri illustri ospiti.

All’Istituto per gli studi storici fondato da Benedetto Croce «Conversazi­oni» aperte alla città Oggi dialogo tra Giuseppe Sciacca e Alberto Melloni

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Tiziano Vecellio «Amor sacro e Amor profano», 1515 circa, conservato nella Galleria Borghese di Roma

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