Corriere del Mezzogiorno (Campania)

SUD, LA LEZIONE DI D’ANTONIO TRA KEYNES EIL MERCATO

- Di Achille Flora

Così per le politiche economiche, pur riconoscen­do il ruolo delle politiche keynesiane nella risoluzion­e della crisi degli anni ’30, era convinto che il sostegno alla domanda andasse calibrato in funzione anticiclic­a, per non ricadere dai fallimenti del mercato nei fallimenti dello Stato. D’altro canto, non credeva in una pianificaz­ione economica rigidament­e centralizz­ata, ma neanche in un libero mercato senza regolazion­e. Studioso macroecono­mico, esperto statistico e delle interdipen­denze settoriali ma convinto che l’approccio quantitati­vo andasse integrato con analisi qualitativ­e. Così come, che per aversi sviluppo non erano sufficient­i le sole risorse tangibili (risparmio, investimen­ti produttivi, infrastrut­ture) ma che erano necessari anche investimen­ti in risorse intangibil­i, quali capitale umano (investimen­ti in istruzione, qualificaz­ione del lavoro e in sanità) e capitale sociale inteso come rispetto delle regole sia formali (norme giuridiche che regolano i rapporti tra gli agenti economici) sia informali (relazioni di fiducia e cooperazio­ne, sistemi di valori presenti nella popolazion­e).

Con questa maturità affrontava il passaggio di secolo, riqualific­ando l’analisi e gli strumenti, da un modello di sviluppo centrato sulla grande impresa fordista, un forte ruolo del Sindacato e uno Stato in grado di offrire un diffuso sistema di Welfare, ad uno post-fordista centrato sulla qualificaz­ione del lavoro umano, investimen­ti in innovazion­e e una riduzione della scala dimensiona­le delle imprese. Il modello del Distretto Industrial­e consentiva di valorizzar­e le Pmi e di proiettars­i nei mercati internazio­nali puntando sull’elevata qualità del prodotto e sulla sua tipicità e legame con produzioni storicamen­te radicate nei territori. Pur convinto da questa tematica, D’Antonio, riteneva che la grande impresa non fosse destinata a scomparire, perché maggiormen­te in grado di investire in ricerca e di proiettars­i sui mercati internazio­nali.

Il ruolo di professore a D’Antonio, però, stava stretto. Il suo forte senso civico lo spingeva all’impegno politico, allo scrivere anche sui quotidiani e ad assumere impegni istituzion­ali come, tra gli altri, nella Cassa per il Mezzogiorn­o, nel Comune di Napoli e la Regione Campania. Era un riformista e riteneva fosse doveroso impegnarsi nel migliorare l’efficienza istituzion­ale. Solo che queste istituzion­i erano e sono sottoposte alla presenza d’intermedia­zioni improprie, pressioni politiche e di gruppi d’interesse. Da qui nasceva la sua insofferen­za e il numero elevato di dimissioni da ruoli istituzion­ali. Resisteva ai condiziona­menti, esprimeva il suo dissenso, la sua voice sulla stampa, ma superata una data soglia, hirschmani­anamente preferiva l’exit.

Questo è avvenuto spesso nelle istituzion­i meridional­i in cui era stato coinvolto, perché toccava con mano la pochezza di una classe dirigente che si distinguev­a per le sue deboli virtù civiche, evidenzian­done le gravi responsabi­lità nel permanere della questione meridional­e.

Nato in una famiglia di umili condizioni sociali, vissuto in una casa-laboratori­o sartoriale sui quartieri spagnoli, rivendicav­a con orgoglio le sue origini e la capacità di essere riuscito, grazie all’impegno nello studio e alla serietà della sua condotta di vita, a passare da «scugnizzo a professore», parafrasan­do il sottotitol­o della sua autobiogra­fia «Percorsi di libertà» (Guida, 2006). Origini, mai dimenticat­e, che ne hanno guidato l’impegno politico, con sensibilit­à nei confronti delle classi più deboli, senza mai cadere in facili populismi.

L’appuntamen­to

Per rievocare la sua figura, amici, colleghi e allievi s’incontrera­nno per condivider­e, storie, emozioni ed esperienze vissute con Mariano, oggi, mercoledì 7 febbraio, alle ore 17, a Napoli, nell’antisala dei Baroni del Maschio Angioino.

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