Corriere del Mezzogiorno (Campania)
SANT’ANIELLO A CAPONAPOLI LUOGO DI SALUBRITÀ PERDUTA
Caponapoli stava a Neapolis come Monte Echia stava a Palepolis. Qui in alto, c’erano templi magnifici e le pompose processioni risalivano via del Sole, accanto all’attuale inferriata del Vecchio Policlinico, e andavano a venerare le divinità dell’Olimpo. Ora quegli dèi, come a Maurilia, una delle città invisibili di Italo Calvino, sono andati via «senza dir nulla e al loro posto si sono annidati déi estranei» perché città diverse si succedono sullo stesso luogo e hanno lo stesso nome ma «nascono e muoiono senza essersi conosciute, incomunicabili tra loro».
Sembra che Calvino abbia pittato questa parte della città visibile e invisibile, ma anche tutto il resto del Centro Antico di Napoli, in verità. Qui, però, le città incomunicabili si avvertono più che altrove. Qui, fino a non molto tempo fa, diciamo un secolo e mezzo abbondante, si veniva davvero a respirare aria buona, a godersela. Oggi, a guardarsi attorno, a spostare lo sguardo di angolo in angolo, cercando un sollievo al caos o alla metastasi della eterna decadenza, si resta quasi sempre delusi.
La salubrità occorre cercarla altrove o chiudersi come in un fortino in qualcuno degli svettanti palazzi che di sicuro nascondono e proteggono un giardino lontano dai frastuoni della vita quotidiana.
Caponapoli un tempo era vocato alla salute dello spirito. Perché ai templi greci e romani si sostituirono le chiese cristiane che di epoca in epoca si sono adagiate nel barocco e lì sono rimaste prima di essere per lo più tutte abbandonate, chiuse, riadattate, restaurate (ma concesse al pubblico solo occasionalmente): Sant’Aniello a Caponapoli, Sant’Andrea delle Dame (ora sede dell’Università Vanvitelli, con un magnifico chiostro dove svettano leziose e slanciate palme), Santa Maria delle Grazie, Santi Michele e Omobono. Per trovarne di officiate tocca scendere lungo vico San
Gaudioso e a destra imbattersi in Santa Maria Regina Coeli, gioiello del Rinascimento ormai già Barocco con il pronao affrescato dal fiammingo Loise Croys. E basterebbe già solo quello per essersi guadagnata la scalata. Più avanti, proseguendo verso via Duomo, c’è il monastero delle Trentatré strettamente legato alla beata Maria Longo, fondatrice dell’ospedale degli Incurabili, appena più su.
Ecco, da tempo, alla cura dell’anima qui è seguita la cura del corpo, da quando fu innalzato il Vecchio Policlinico che da piazza Luigi Miraglia risale, di clinica in clinica, fagocitando chiese e palazzi, sventrando chirurgicamente sacro e profano, sostituendosi, quasi come in un Risanamento edilizio (non proprio efficace, però).
Dovunque si vedono targhe di aule universitarie, di ambulatori e del pronto soccorso. Agli déi cattolici hanno dato il cambio divinità più terrene senza aureole, ma comunque vestite di bianco. Si cerca un altro benessere, adesso: la salute vera e propria, non più tanto l’aria pulita di quando si era certi che una casa a Sant’Aniello valesse bene un cappello.