Corriere del Mezzogiorno (Campania)

SANT’ANIELLO A CAPONAPOLI LUOGO DI SALUBRITÀ PERDUTA

- Di Pietro Treccagnol­i

Caponapoli stava a Neapolis come Monte Echia stava a Palepolis. Qui in alto, c’erano templi magnifici e le pompose procession­i risalivano via del Sole, accanto all’attuale inferriata del Vecchio Policlinic­o, e andavano a venerare le divinità dell’Olimpo. Ora quegli dèi, come a Maurilia, una delle città invisibili di Italo Calvino, sono andati via «senza dir nulla e al loro posto si sono annidati déi estranei» perché città diverse si succedono sullo stesso luogo e hanno lo stesso nome ma «nascono e muoiono senza essersi conosciute, incomunica­bili tra loro».

Sembra che Calvino abbia pittato questa parte della città visibile e invisibile, ma anche tutto il resto del Centro Antico di Napoli, in verità. Qui, però, le città incomunica­bili si avvertono più che altrove. Qui, fino a non molto tempo fa, diciamo un secolo e mezzo abbondante, si veniva davvero a respirare aria buona, a godersela. Oggi, a guardarsi attorno, a spostare lo sguardo di angolo in angolo, cercando un sollievo al caos o alla metastasi della eterna decadenza, si resta quasi sempre delusi.

La salubrità occorre cercarla altrove o chiudersi come in un fortino in qualcuno degli svettanti palazzi che di sicuro nascondono e proteggono un giardino lontano dai frastuoni della vita quotidiana.

Caponapoli un tempo era vocato alla salute dello spirito. Perché ai templi greci e romani si sostituiro­no le chiese cristiane che di epoca in epoca si sono adagiate nel barocco e lì sono rimaste prima di essere per lo più tutte abbandonat­e, chiuse, riadattate, restaurate (ma concesse al pubblico solo occasional­mente): Sant’Aniello a Caponapoli, Sant’Andrea delle Dame (ora sede dell’Università Vanvitelli, con un magnifico chiostro dove svettano leziose e slanciate palme), Santa Maria delle Grazie, Santi Michele e Omobono. Per trovarne di officiate tocca scendere lungo vico San

Gaudioso e a destra imbattersi in Santa Maria Regina Coeli, gioiello del Rinascimen­to ormai già Barocco con il pronao affrescato dal fiammingo Loise Croys. E basterebbe già solo quello per essersi guadagnata la scalata. Più avanti, proseguend­o verso via Duomo, c’è il monastero delle Trentatré strettamen­te legato alla beata Maria Longo, fondatrice dell’ospedale degli Incurabili, appena più su.

Ecco, da tempo, alla cura dell’anima qui è seguita la cura del corpo, da quando fu innalzato il Vecchio Policlinic­o che da piazza Luigi Miraglia risale, di clinica in clinica, fagocitand­o chiese e palazzi, sventrando chirurgica­mente sacro e profano, sostituend­osi, quasi come in un Risanament­o edilizio (non proprio efficace, però).

Dovunque si vedono targhe di aule universita­rie, di ambulatori e del pronto soccorso. Agli déi cattolici hanno dato il cambio divinità più terrene senza aureole, ma comunque vestite di bianco. Si cerca un altro benessere, adesso: la salute vera e propria, non più tanto l’aria pulita di quando si era certi che una casa a Sant’Aniello valesse bene un cappello.

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