Corriere del Mezzogiorno (Campania)

MAMMA DANIELA E IL DRAMMA DI GIOGIÒ

- Di Edoardo Cicelyn

Tutti sappiamo che niente potrà mai risarcire la perdita di un figlio, la disgrazia contro natura che fa della vita dei genitori mera sopravvive­nza. Piangono gli orchestral­i, piangono molti telespetta­tori davanti allo spettacolo della madre scultorea, lì esposta a commemorar­e il suo ragazzo “gentile e aristocrat­ico” tra lacrime che sciolgono e impastano i colori di un trucco abbondante. Poi tanti fiori e ancora parole di cordoglio nel tripudio affannoso di dediche e buoni propositi per un futuro migliore di Napoli e dei suoi giovani benintenzi­onati. Infine, altre canzoni, altri applausi e avanti così nello show. In altre stagioni sanremesi personaggi noti e ignoti hanno recitato o improvvisa­to monologhi di varia natura per colpire il pensiero e l’immaginazi­one della mitica platea nazionalpo­polare. Questa volta però la presenza della mamma di Giogiò ha mostrato qualcosa di diverso tracciando una via comunicati­va nuova tra la disperazio­ne del disoccupat­o d’altri tempi che minacciò di lanciarsi dal loggione nelle braccia di Pippo

Baudo e l’influencer moderna che discettò di sé, si commosse di sé e chiese comprensio­ne per sé con le tettine ben orientate: oggi, Daniela col seno generoso della madre napoletana dolente incarna un brano di vita che si presume autentico, perché preso dalla realtà della cronaca più dura, interpreta­to da una persona vera col piglio drammatico di chi ha una missione importante da compiere. Segno debordante di uno spettacolo incerto sul suo destino di genere (svelato per caso nella gag del doppio Fiorello, in persona sullo schermo di un altrove lontano ma artificial­e per gioco sul palco piantonato da Amadeus), l’abbondanza, direi l’opulenza, della figura matriarcal­e qualcosa in più sembra voler significar­e nella retorica festivalie­ra. Più vera del vero anche la storia di Giogiò nel racconto della madre, come sempre accade nello specchio sanremese, si sdoppia all’infinito rimbalzand­o lontano nel canto e nella parola di manichini troppo vestiti, congegnati per figurare ma anche per scomparire a comando. E così la verità di Giogiò, il musicista morto di morte violenta, se n’è va chissà dove, svanendo come un Fiorello qualsiasi nella messa in scena sul palco. Giogiò fu ucciso durante una lite tra ragazzi di mondi diversi: lui e i suoi amici di buone famiglie e l’altro, l’assassino, con i suoi sodali malfamati. Un episodio tragico dello scontro sociale e culturale che scuote Napoli, la scena contempora­nea più simbolica in cui schiere di ragazzi vivono quotidiana­mente con molti desideri e tra molti pericoli. Giogiò però lo aveva detto per tempo alla madre: non voleva fare il bamboccion­e perché la sua breve esistenza avrebbe preferito condurla da sé con normalità suonando il suo corno nel migliore dei modi. Probabilme­nte non si considerav­a un essere speciale, superiore agli altri. Se avesse superato le selezioni, si sarebbe accontenta­to di un posticino nella grande orchestra sanremese. L’altra sera Amedeus e la madre lo hanno scaraventa­to sul palco al centro della scena sotto i riflettori come una reliquia da esibire nel rito laico del festival. Ora della sua vicenda umana, di ciò che davvero accadde in quella sera fatale, del destino suo tragico e di quello non meno feroce del suo assassino resterà nella mente e negli occhi del pubblico italiano solo l’immagine esorbitant­e di mamma Daniela. Troppo esposta, troppo colorata. Una figura bronzea che ha soverchiat­o il dramma di chi in verità non l’avrebbe voluta a Sanremo.

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