Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Agricoltori
Dimenticando che solo nella regione il settore agricolo vale 4 miliardi di Pil, spaziando dalla produzione di insalate a quella della mozzarella di bufala, dalle carni, al latte, dal vino ai cereali. E occupa circa 150mila addetti.
Numeri di tutto rispetto, per quella che è la seconda regione d’Italia per numero di imprese agricole condotte da giovani con 6.255 aziende attive. Dopo la Sicilia e prima della Puglia, a conferma del fatto che nel Mezzogiorno il settore primario ha ancora un suo appeal. È pur vero che complessivamente il numero delle aziende agricole
campane va calando, ma quelle che restano sono più organizzate e di qualità, un passo avanti non di poco conto. E la Regione destina una fetta considerevole della spesa all’agricoltura: la dotazione finanziaria del piano strategico della Pac fino al 2027 è superiore a un miliardo e 200 milioni, di cui oltre la metà derivanti dal fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale.
Cosa ci dicono questi numeri? Che molti giovani tornano alla terra, che i fondi pubblici comunitari, nazionali e regionali per incentivare il settore ci sono, che abbandonare l’agricoltura al proprio destino vorrebbe dire perdere posti di lavoro e ricchezza prodotta. Ma, se questo è il contesto, come si pone la protesta dei trattori in uno scenario che alterna luci e ombre? Un dato appare a prima vista inequivocabile, come sempre nelle manifestazioni di piazza, alcune richieste sono
condivisibili perché è sacrosanto che il lavoro duro nei campi vada giustamente remunerato, e che difendere la specificità dei prodotti della terra meridionali, che sono la base della dieta mediterranea, sia un interesse non solo della categoria ma di tutti i cittadini consumatori. Mentre altre richieste appaiono, invece, difficilmente accoglibili, perché alcuni privilegi fiscali goduti per anni non è affatto detto che debbano essere protratti all’infinito, laddove con la legge di Bilancio 2024 i sacrifici sono stati chiesti a tutti e non solo a loro.
Gli agricoltori hanno certamente ragione da vendere sul tema dei prezzi nella filiera commerciale fino al consumatore finale, laddove, si prenda il caso del latte, è assurdo che agli allevatori sia pagato poco più di mezzo euro al litro, mentre nei supermercati si vende fino a due euro e mezzo, ingrassando
tutte le fasi dell’intermediazione ma impoverendo coloro che lo producono. Governo nazionale e, più ancora, Commissione di Bruxelles su questo dovrebbero intervenire subito per mettere ordine in un mercato selvaggio. Inoltre, l’Ue dovrebbe controllare meglio le importazioni di prodotti agricoli da Paesi terzi, che sono venduti a prezzi molto più bassi di quelli europei, perché non rispettano le norme che tutelano la qualità e la genuinità degli alimenti che invece l’Europa impone. Questa pratica commerciale sleale finisce per danneggiare i nostri agricoltori, almeno quelli sani che rispettano le leggi. Ancora, sull’obbligo, previsto dalla politica agricola comune, di tenere a riposo il 4% dei terreni come condizione per poter accedere ai contributi comunitari, un primo risultato già è stato ottenuto a Bruxelles, con un rinvio
della norma al 2025. Invece, la tradizionale agevolazione sul prezzo del gasolio, carburante che presto non sarà più utilizzato per l’elevato tasso di inquinamento che provoca, è arduo mantenerla solo per una categoria mentre tutti gli altri cittadini pagano benzina e diesel a prezzi di mercato.
Questa appare francamente una richiesta corporativa contraria all’interesse generale. Così come quella di continuare a usufruire di un’esenzione Irpef, abolita con la nuova Finanziaria, per cui d’ora in avanti anche i redditi agricoli saranno tassati come quelli di tutti gli altri settori della vita economica. Infine, la questione più complessa riguarda le regole imposte dagli obiettivi della transizione verde in Europa, in particolare la drastica riduzione alla metà dell’uso dei fitofarmaci e delle emissioni nocive nella zootecnia entro il 2030.
L’obiettivo del green new deal non può certo essere né abbandonato, né tantomeno rinviato, quello che, però, governo comunitario e nazionale possono fare per venire incontro agli agricoltori è destinare un pacchetto consistente di agevolazioni alle aziende del settore per aiutarle a realizzare i notevoli investimenti richiesti per mettersi al passo con le regole.
È un bene che la protesta dei trattori abbia fatto uscire l’agricoltura da un cono d’ombra, ora tutti insieme bisogna lavorare, soprattutto al Sud e segnatamente in Campania, per garantire la qualità delle produzioni, favorire il ricambio generazionale nelle aziende agricole e introdurre le indispensabili innovazioni tecnologiche nei metodi di coltivazione, in molti casi ancora troppi arretrati nelle campagne meridionali.