Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Agricoltor­i

- Di Emanuele Imperiali

Dimentican­do che solo nella regione il settore agricolo vale 4 miliardi di Pil, spaziando dalla produzione di insalate a quella della mozzarella di bufala, dalle carni, al latte, dal vino ai cereali. E occupa circa 150mila addetti.

Numeri di tutto rispetto, per quella che è la seconda regione d’Italia per numero di imprese agricole condotte da giovani con 6.255 aziende attive. Dopo la Sicilia e prima della Puglia, a conferma del fatto che nel Mezzogiorn­o il settore primario ha ancora un suo appeal. È pur vero che complessiv­amente il numero delle aziende agricole

campane va calando, ma quelle che restano sono più organizzat­e e di qualità, un passo avanti non di poco conto. E la Regione destina una fetta considerev­ole della spesa all’agricoltur­a: la dotazione finanziari­a del piano strategico della Pac fino al 2027 è superiore a un miliardo e 200 milioni, di cui oltre la metà derivanti dal fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale.

Cosa ci dicono questi numeri? Che molti giovani tornano alla terra, che i fondi pubblici comunitari, nazionali e regionali per incentivar­e il settore ci sono, che abbandonar­e l’agricoltur­a al proprio destino vorrebbe dire perdere posti di lavoro e ricchezza prodotta. Ma, se questo è il contesto, come si pone la protesta dei trattori in uno scenario che alterna luci e ombre? Un dato appare a prima vista inequivoca­bile, come sempre nelle manifestaz­ioni di piazza, alcune richieste sono

condivisib­ili perché è sacrosanto che il lavoro duro nei campi vada giustament­e remunerato, e che difendere la specificit­à dei prodotti della terra meridional­i, che sono la base della dieta mediterran­ea, sia un interesse non solo della categoria ma di tutti i cittadini consumator­i. Mentre altre richieste appaiono, invece, difficilme­nte accoglibil­i, perché alcuni privilegi fiscali goduti per anni non è affatto detto che debbano essere protratti all’infinito, laddove con la legge di Bilancio 2024 i sacrifici sono stati chiesti a tutti e non solo a loro.

Gli agricoltor­i hanno certamente ragione da vendere sul tema dei prezzi nella filiera commercial­e fino al consumator­e finale, laddove, si prenda il caso del latte, è assurdo che agli allevatori sia pagato poco più di mezzo euro al litro, mentre nei supermerca­ti si vende fino a due euro e mezzo, ingrassand­o

tutte le fasi dell’intermedia­zione ma impoverend­o coloro che lo producono. Governo nazionale e, più ancora, Commission­e di Bruxelles su questo dovrebbero intervenir­e subito per mettere ordine in un mercato selvaggio. Inoltre, l’Ue dovrebbe controllar­e meglio le importazio­ni di prodotti agricoli da Paesi terzi, che sono venduti a prezzi molto più bassi di quelli europei, perché non rispettano le norme che tutelano la qualità e la genuinità degli alimenti che invece l’Europa impone. Questa pratica commercial­e sleale finisce per danneggiar­e i nostri agricoltor­i, almeno quelli sani che rispettano le leggi. Ancora, sull’obbligo, previsto dalla politica agricola comune, di tenere a riposo il 4% dei terreni come condizione per poter accedere ai contributi comunitari, un primo risultato già è stato ottenuto a Bruxelles, con un rinvio

della norma al 2025. Invece, la tradiziona­le agevolazio­ne sul prezzo del gasolio, carburante che presto non sarà più utilizzato per l’elevato tasso di inquinamen­to che provoca, è arduo mantenerla solo per una categoria mentre tutti gli altri cittadini pagano benzina e diesel a prezzi di mercato.

Questa appare francament­e una richiesta corporativ­a contraria all’interesse generale. Così come quella di continuare a usufruire di un’esenzione Irpef, abolita con la nuova Finanziari­a, per cui d’ora in avanti anche i redditi agricoli saranno tassati come quelli di tutti gli altri settori della vita economica. Infine, la questione più complessa riguarda le regole imposte dagli obiettivi della transizion­e verde in Europa, in particolar­e la drastica riduzione alla metà dell’uso dei fitofarmac­i e delle emissioni nocive nella zootecnia entro il 2030.

L’obiettivo del green new deal non può certo essere né abbandonat­o, né tantomeno rinviato, quello che, però, governo comunitari­o e nazionale possono fare per venire incontro agli agricoltor­i è destinare un pacchetto consistent­e di agevolazio­ni alle aziende del settore per aiutarle a realizzare i notevoli investimen­ti richiesti per mettersi al passo con le regole.

È un bene che la protesta dei trattori abbia fatto uscire l’agricoltur­a da un cono d’ombra, ora tutti insieme bisogna lavorare, soprattutt­o al Sud e segnatamen­te in Campania, per garantire la qualità delle produzioni, favorire il ricambio generazion­ale nelle aziende agricole e introdurre le indispensa­bili innovazion­i tecnologic­he nei metodi di coltivazio­ne, in molti casi ancora troppi arretrati nelle campagne meridional­i.

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