Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Io, prof lesbica e madre ho scoperto che l’omofobia prevale nelle metropoli» Giuseppina La Delfa e il nuovo libro “Famiglie”: «In Irpinia accolte bene»
Dieci anni fa lottava contro lo Stato italiano (nella fattispecie, l’allora ministro dell’Interno Angelino Alfano) per ottenere la trascrizione delle nozze lesbiche contratte nel 2013 in Francia, dopo 25 anni di vita comune e due figli concepiti con la procreazione assistita. E per riuscire nel suo intento lanciò una provocazione: «Sto pensando di sposarmi anche con un uomo per dimostrare che l’Italia permette la bigamia istituzionalizzata». Nel 2017 la battaglia è finalmente vinta: grazie a una sentenza della Cassazione, Giuseppina La Delfa e Raphaelle Hoedts, due docenti di origine francese che insegnano dal 1990 all’Università di
Salerno, sono sposate anche in Italia. È la prima unione tra due persone dello stesso sesso riconosciuta, Dieci anni dopo Giuseppina La Delfa si è separata dalla moglie, ha lasciato la presidenza dell’associazione Famiglie Arcobaleno che ha contribuito a far nascere ma continua a lottare per il pieno riconoscimento dei diritti civili. Ed esce proprio in questi giorni con un libro, Famiglie (Golem edizioni).
Che cos’è Famiglie?
«È il punto terminale della mia storia,personale, familiare e collettiva, racconto come è potuto avvenire qualcosa che fino a venti anni fa sarebbe stato inconcepibile e che io stessa ritenevo impossibile».
Però c’è un sottotitolo tra parentesi che suona provocatorio: «e se a qualcuno non piace, fa lo stesso...
«La società è più veloce della politica e della burocrazia, è pronta ad accoglierci e lo sta dimostrando. Quello che mancano sono le tutele e la cittadinanza piena ... poi con questo governo stiamo tornando indietro, stanno cercando di toglierci quei pochi riconoscimenti che eravamo riusciti ad ottenere».
Torniamo al libro.
«Chiude una trilogia: il primo libro Peccato che non avremo mai figli raccontava attraverso un processo di autoconsapevolezza, la storia d’amore e di lotte per il riconoscimento dei nostri diritti, dagli inizi degli anni’80, con la mia ex moglie. Si concludeva il 1 gennaio 2000 con la decisione di avere dei figli».
Il secondo libro?
«Tutto quello che c’è voluto - Storie di pance, semi e polvere di stelle racconta tra varie peripezie e strani incontri i tre anni necessari per arrivare alla nascita di mia figlia, Lisa Marie, che oggi ha 21 anni».
E che ha un fratello, Andrea.
«Sì, ha 12 anni ed è stato partorito da Raphaelle».
Come vivono questi ragazzi l’insolita condizione di avere due mamme?
«Benissimo, sono ragazzi in mezzo agli altri, non hanno mai subito episodi di omofobia, grazie anche a noi che abbiamo fatto un buon lavoro basato sulla visibilità. Non ci siamo mai nascoste».
E lei? Ha mai provato sulla sua pelle l’omofobia?
«Da 33 anni lavoro all’Università di Salerno e non ho mai subito attacchi perché lesbica. Ho trovato sempre accoglienza. Come attivista delle Famiglie Arcobaleno invece ho visto attacchi di ogni tipo, ma sempre diretti alla comunità e mai alla mia persona».
Lei vive in un piccolo centro dell’Irpinia, Santo Stefano del Sole, che all’epoca si oppose strenuamente al riconoscimento del suo matrimonio. Oggi come sono i rapporti con la comunità?
«Viviamo in un paesino di 2000 abitanti e all’inizio la gente ci guardava con diffidenza, poi ha visto che prima di essere due lesbiche eravamo due mamme con tutti i problemi delle mamme e ci hanno accolte e fatto sentire a nostro agio. Nei piccoli centri del Sud forse siamo più fortunati perché le persone di fronte all’odio si sciolgono. Più difficile vivere bene nelle
tori del Corriere del Mezzogiorno scrivete alla mia posta del cuore. Da sei anni, e non smetterò mai per questo di essere grata al direttore Enzo d’Errico, passo tutti i miei sabato mattina a rispondere alle vostre lettere. Siete un’umanità inquieta, anche smarrita. Io mi sono accorta, con sommo stupore, che so sempre esattamente che cosa rispondere. Le risposte si scrivono da sole senza che io debba pensarle. È cosi che dovrebbe funzionare: dovremmo sempre sapere cosa fare senza star li ad arrovellarci. Qualche anno fa, non l’avrei ritenuto credibile, invece, è possibile conoscere tutte le risposte alle domande che l’amore ci pone, se solo sappiamo che cos’è l’amore. Io l’ho imparato raccogliendo le storie degli altri, l’ho imparato studiando quello che altri più autorevoli di me hanno scritto. L’ho imparato, ovviamente, vivendo, sbagliando, riprovandoci. Sono stata a lungo da quel lato meno luminoso della strada dove stai con qualcuno perché è il meno peggio che credi di poter trovare, o dove da solo, non riuscendo a trovare qualcuno e quindi convincendoti di stare benissimo da sola. Sono stata «una donna che amava troppo», per dirla con Robin Norwood, e ho avuto uomini che mi amavano poco, comunque non quanto il calcetto. Uomini, in definitiva, col dono di tirare fuori il peggio di me. Col tempo, ho capito che non era colpa loro, ma sempre, solo e soltanto, di quanto poco conoscessi me stessa, di quanto poco mi amassi e di quante nozioni sbagliate avessi sull’amore.
Mi è venuta voglia di scrivere questo libro un sabato pomeriggio, in uno di quei momenti di sospensione che sempre vivo dopo aver spedito la mia rubrica al collega del Corriere del Mezzogiorno Vanni Fondi. Uno di quei momenti in cui sempre mi chiedo che illustrazione sceglierà e come titolerà, e se compirà di nuovo il piccolo miracolo della volta in cui ha scelto il quadro di Edgar Degas La famiglia Bellelli e poi mi ha scritto Cecilia Baratta Bellelli, erede dell’artista, per dirmi che quel ritratto in un interno dipingeva una famiglia - di napoletani antiborbonici esuli a Firenze – come tutte infelice a suo modo e che però quel modo era esattamente lo stesso descritto nella lettera. In quel momento di sospensione, ogni sabato, mi chiedo che ne sarà di quel nostro messaggio nella bottiglia. Se ammorbidirà un cuore indurito, se aprirà degli occhi serrati. Scrivere il libro che esce oggi è stata la naturale continuazione di un dialogo che, ogni volta, non vorrei mai interrompere.
Così, mentre scrivevo Sei un genio dell’amore e non lo sai, ho ripercorso le vostre storie. Quella di Chiara, che è «l’altra» e resta sempre sola a Natale. Quella di Adele, prigioniera di un amore tossico e violento. Quella di Marco, a cui lei non ha mai detto «ti amo». Mentre scrivevo, ho ripercorso tanti incontri. Ho rivisto Marco Giallini nella sua mansarda dove sembrava esplosa una bomba e la roba – i vestiti, le chitarre, i premi, i quadri – stava ammassata fin fuori al pianerottolo, l’ho rivisto mentre mi raccontava della moglie, morta a quarantotto anni, fra le sue braccia, all’improvviso, mentre preparava la valigia delle vacanze. L’ho rivisto mentre mi diceva: «Alla fine, io sto qua, in lockdown, da quando è morta Loredana». L’ho rivisto mentre gli chiedevo: il dolore non passa mai? E lui: «E che passa? Ti dimentichi un po’ la voce». Ho rivisto il momento in cui arrivo
Candida Morvillo usa tutta la sua esperienza e la traspone in un volume, con sei «passi» per affrontare vita e cuore