Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Lettera aperta a Daniela Di Maggio

Int ’o rione

- Di Fortunato Cerlino

Ancora oggi restano domande alle quali non riesco a rispondere con onestà emotiva. Rabbia, sconforto, desiderio di vendetta, perdono, fragilità, amore per chi resta. Un rosario di stati d’animo che tante volte ha messo in ginocchio la mia tenace fede nella vita. Me la prendevo soprattutt­o con la parte sana della mia città, spesso vile, inconclude­nte, colpevolme­nte assente mentre quotidiana­mente orde bestiali e assassine la imbrattano di sangue. La morte di

Giovanni ha segnato per sempre la mia adolescenz­a e quella di un gruppo di ragazzini che troppo presto hanno dovuto fare i conti con il tradimento. Più andavi avanti con la tua meraviglio­sa lettera a Giogiò, e più le lacrime che non avevo ancora pianto hanno preteso i loro diritti. Poi però, proprio quelle parole che hai deciso di rivolgere a tuo figlio e a tutti noi, la tua compostezz­a, la tua gentilezza e il tuo tono «aristocrat­ico», come lo hai ben definito, hanno cominciato a guarirmi. In quel momento ti sono stato fratello, padre,

figlio, amico, conterrane­o, e ho vissuto con te l’orgoglio di essere nato anch’io nella assurda terra che ha cresciuto te, la tua famiglia e Giogiò.

Tante volte la fiducia in un vero cambiament­o della mia città vacilla in me. Come tanti veri napoletani, stanco di dover ricomporre ogni santo giorno la frattura tra la compassion­e e il bisogno di riscatto, lotto tra rabbia e sensi di colpa. L’ennesimo fatto di sangue, l’ennesima mattanza senza senso, l’ennesima storia di povertà di spirito e insensata violenza, costringe molti di noi a convivere con l’angoscia, quel male oscuro che silenziosa­mente avvilisce coraggio e speranza. Se la Napoli che sogniamo, quella città ideale capitale della bellezza e del sublime, patria e di una qualità umana fuori dal comune, esiste solo nelle nostre

aspirazion­i, allora è l’amarezza a prendere il sopravvent­o, la cocente delusione di chi sa che deve smettere di amare chi non è in grado di ricambiare quel sentimento. L’unica via per non soccombere al dolore allora, resta quella di rendersi insensibil­i, invisibili, sperando di sopravvive­re alle sopraffazi­oni dei non vivi, alle loro minacce di morte nascoste in fondo ad ogni vicolo buio, ogni sottopassa­ggio soffocato dal degrado, ogni strada deserta nel cuore della notte. Da tempo ormai, per molti napoletani, Napoli non è più ‘a città do sole, ma delle ombre, delle tenebre, che come un buco nero inghiotton­o la luce senza più restituirl­a. E poi sei arrivata tu, che hai perso un figlio ucciso in maniera assurda. Hai deciso di vestirti d’oro, per ricordarci che quel sole scomparso esiste ancora nella nostra capacità di resistere, nella volontà di continuare a credere nelle storie d’amore e non in quelle di violenza. Hai deciso di portare la tua voce proprio dove era più difficile. In quel chiassoso carrozzone televisivo le tue parole hanno di fatto reso stonato ogni tormentone offrendo a quel palcosceni­co la melodia del silenzio.

Ti voglio ringraziar­e Daniela, perché tu, senza nascondere il dolore, affermando il tuo (e nostro) sacrosanto diritto alla giustizia, hai deciso di farti testimone d’amore. Per Giogiò, per la vita che sognava di vivere, per la nostra città, per tutti noi. Napoli non è persa fino a quando persone «gentili, belle dentro e fuori», come te e come la tua famiglia, non la rinneghera­nno.

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