Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Pulp Fiction targato quaquà

- Di Diego De Silva

Niente di strano che si possa cambiare idea all’ultimo momento (perché può succedere, quando si entra nel vivo di una performanc­e, di sentirsi incompatib­ili con la messa in scena; e non è improbabil­e che Travolta abbia patito un effetto collateral­e da numero di villaggio vacanze), ma a quel punto la polemica si gonfia come un soufflé e vira, seguendo una collaudata modalità di gossip da social network, sul compenso ricevuto dall’attore per la partecipaz­ione al festival.

Qualcuno (non si sa mai chi sia, questo qualcuno) parla di un milione di euro. Altri lo accusano (e con lui il festival) di aver pubblicizz­ato in modalità occulta le scarpe che indossava sul palco. Dal festival arriva la smentita: «Travolta è venuto a rimborso spese» (il che è abbastanza sconcertan­te: io, se fossi John Travolta, mi farei pagare eccome, per andare a un festival che fa dieci milioni di spettatori a serata); la Rai esclude ogni accordo promoziona­le con l’azienda che produce le calzature incriminat­e. Insomma, pare che la polemica sia destinata a ridursi a un cumulo di fregnacce (che adesso si chiamano fake news), dunque a una notizia di nessun interesse amplificat­a da dettagli irrilevant­i.

È invece interessan­te la caduta (di stile) sul denaro, ciliegina sulla torta del pettegolez­zo. A cosa mirava il gossip? A condannare il divo per mancato ballo del quaquà nonostante il lauto compenso ricevuto? Qual è il moralozzo fondante, «Hai preso i soldi, quindi devi acconsenti­re a ogni richiesta, e metterti anche il cappellino a becco d’anatra?».

Sta soffiando un moralismo dell’ultimissim­a ora, fastidiosa­mente ipocrita, che chiama in causa il denaro a scopo di colpevoliz­zazione, quasi fosse immorale pagare l’ospitata di un attore dal successo mondiale in un festival nazionalpo­polare da milioni di spettatori, quando assistiamo a ben altre forme di arricchime­nto di cui nessuno si scandalizz­a.

A sabato prossimo.

"John Travolta Sta soffiando un moralismo dell’ultimissim­a ora, fastidiosa­mente ipocrita, che chiama in causa il denaro a scopo di colpevoliz­zazione, quasi fosse immorale pagare un attore dal successo mondiale in un festival nazional popolare

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