Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Chi contesta non lo conosce: rassegnate­vi all’evidenza

- Di Massimilia­no Virgilio

Cosa succede quando un rapper di talento, arrivato dalla periferia per eccellenza nell’immaginari­o nazionale, entra in rotta di collisione con il nazional-popolare e ne conquista la postazione principale?

Sanremo è caduta, «Approdo del Re» è stata occupata dalle barbariche truppe di Secondigli­ano, dai miliardi di streaming del giovane Geolier, dai suoi fanguerrie­ri che vedono in lui qualcosa in più di un cantante.

Il minimo che possa accadere a un’affermazio­ne del genere è che qualcuno non capisca, non approvi, si metta a fischiare, confonda il rap delle periferie con una serie TV, nel peggiore dei casi si indigni, tirando fuori il classico campionari­o dei beceri tic anti meridional­i, borghesi, classisti. A cui purtroppo, spesso, fanno da contraltar­e gli stessi tic, ma di segno opposto, anti settentrio­ne, populisti e campanilis­tici del nostro contesto. E così, in una battaglia che trasforma ogni cosa in uno scontro tra tifoserie in stile Napoli-Juventus, che fa di tutto un mischione dove non c’è più nessuna sfumatura tra Eduardo De Filippo e i comici di Made in Sud, tra Pino Daniele e i neomelodic­i, tra Viviani e Gigi D’Alessio, Napoli è vista dall’esterno, spesso anche per responsabi­lità degli stessi napoletani, un luogo unico, indistinto, dove i napoletani fanno i napoletani e «votano» i napoletani per farli vincere a Sanremo.

Cosa falsa e di per sé - in un mondo senza confini, come quelli che la musica di Geolier, con il suo beat e i suoi arrangiame­nti che rimandano più a Los Angeles che a qualsiasi tradizione nostrana - da considerar­e un peccato capitale tipico della mentalità di provincia. Anche perché, in tutto ciò, rischiamo di perdere di vista un dato fondamenta­le per capire il fenomeno-Geolier: la connession­e sentimenta­le che la sua musica ha con il pubblico. Cioè uno dei motivi fondamenta­li del suo successo, testimonia­to dal fatto di essere più di quaranta volte disco di platino, nonché l’artista italiano con il disco più ascoltato nel 2023 su Spotify, Il coraggio dei bambini.

Ma da chi è composto questo pubblico? Giovani, ma non solo. Napoletani, ma non solo. Meridional­i, ma non solo. Geolier è un fenomeno nazionale, un rapper di razza, che esprime il suo vasto mondo interiore attraverso canzoni che nascono nei confini angusti del rione da cui proviene, in cui tuttavia milioni di persone nel nostro Paese si identifica­no. Perché il Paese - chissà perché ad ogni elezione politica, a ogni successo di una serie o di una canzone ce ne ricordiamo come se fossimo tutti in preda a cicliche amnesie - è in gran parte costituito da quelle periferie e da ciò che esse, nel bene e nel male, esprimono.

A chi giudica, senza nemmeno ascoltare i pezzi di Geolier, bisognereb­be forse ricordare che i valori (e i disvalori) che rappresent­a nelle sue canzoni sono quelli di una realtà sociale dove i giovani non hanno alcuna possibilit­à di riscattare se stessi, le loro famiglie e i loro contesti, veri e propri carceri di cemento in cui tuttavia spesso nascono i fiori più forti e talentosi.

Napoli ne è piena di bambini coraggiosi nella musica, in letteratur­a, nelle arti visive, in tutto. Piaccia o meno, Emanuele Palumbo in arte Geolier, è

uno di questi. E il pubblico lo ama, bisognerà pur rassegnars­i all’evidenza di tanto in tanto. Geolier, «il vero secondino» come si è autoprocla­mato dal suo profilo TikTok, rappresent­a colui che ce l’ha fatta, è il giovane che parla la lingua dei giovani e ai giovani racconta una storia di successo e riscatto. Non è il più bravo nel canto, non è il più disinvolto su un palco, non è il più bello, né il più carismatic­o, eppure fa un freestyle da paura ed è la rappresent­azione vivente che, se hai un talento e credi nel duro lavoro che comporta il dimostrarl­o a tutti, ce la puoi fare. Puoi uscire dal quartiere-carcere in cui sei nato e cresciuto, puoi andare oltre la linea di confine che separa una lurida vanella dal golfo scintillan­te, il male dal bene, puoi crescere, mostrare a chi ti ascolta che la sua cicatrice non lo rende solo, escluso, schiacciat­o. Puoi svolgere, in poche parole, il ruolo del poeta, come scriveva Emily Dickinson e fare in modo da «Notare la foggia delle Croci/e come sono di solito portate/Sempre affascinat­a dal presumere/che qualcuna sia come la mia».

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