Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Lo strano conflitto Pd-Cinquestelle
Impossibile un comune programma di governo.
Perciò vittoria della destra e prepotenza del governo — che ora addirittura pretende di stravolgere la Costituzione (premierato) e spaccare l’Italia (autonomia differenziata) — sono effetti naturali d’un’opposizione divisa e incapace di farsi credibile alternativa di governo.
Lasciando all’ignoto loro destino Renzi e Calenda, resta il rapporto Schlein-Conte. Incontrandosi in piazza s’abbracciano, ma la rivalità è palese. I difetti del Pd sono di dominio pubblico: tensioni tra correnti interne; lunga permanenza al governo: per senso di responsabilità (sostegno financo del Governo Conte 2) e attaccamento al potere. Inoltre: corteggiamento del M5S, nella speranza (delusa) di costruire il «campo largo» della sinistra. Infine: Segretario eletto dalle primarie contro quello proposto dagl’iscritti al partito.
Con effetti negativi sull’organizzazione e sul rinnovamento d’una dirigenza coesa e autorevole. Il M5S invece nasconde i suoi peccati e s’allea col Pd per pura convenienza. Esempio: in alcune realtà territoriali, come a Napoli con Manfredi Sindaco.
Interessante, per capire la volubile linea-5S, l’intervista (Corriere della Sera, lunedì scorso) di Marco Ascione a Giuseppe Conte. Che esordisce: «nel Pd esiste ancora, in alcuni, un riflesso condizionato. La memoria d’un passato in cui quel partito aveva una vocazione maggioritaria e una pretesa egemonica. Oggi non funziona più lo schema dei satelliti che ruotano attorno a loro. Oggi c’è un rapporto alla pari».
È il Pd che deve cambiare raccogliendo le sfide del M5S (su Europa e scenari internazionali). Il M5S non può allinearsi al PD perché non può «abbandonare quella forza propulsiva che da oltre 10 anni sta cambiando il Paese». Mah!
Conte ha vuoti di memoria: enfatizza i difetti del Pd e dimentica quelli del M5S. Dimentica che, nell’elezione 2013, la «forza propulsiva» del populista-antisistema Beppe Grillo — tramite una democrazia semiclandestina dei link e dei like — costrinse il PD a governi instabili. Rifiutò l’offerta di Bersani, agevolando l’avvento dell’irrequieto Renzi (dopo la breve parentesi di Letta) e poi del mite Gentiloni.
Dimentica che l’improvviso «trionfo» del M5S nel 2018 portò in Parlamento e al governo una classe dirigente impreparata incompetente e sprovveduta («uno vale uno»).
Lui stesso comparve dal nulla col fatidico «contratto di governo» M5S-Lega. Partorì non solo il Reddito di cittadinanza — idea buona, cattiva legge — ma pure i decreti-sicurezza di Salvini e la riduzione dei parlamentari: primo colpo alla rappresentanza democratico-costituzionale.
Fatto cadere da Salvini al Papeete il Governo M5S-Lega, continuò a fare il Premier evitando l’elezione anticipata grazie al Pd. Dal quale il M5S ha imparato a stare nelle istituzioni, mentre ora l’accusa d’egemonia. Dimentica che, col Governo tecnico di Draghi, lui ha tirato per i capelli il M5S costringendolo alla totale metamorfosi, che chiama «chiarezza», e creando un suo partito personale dopo la fuga di Grillo, Di Maio ecc.
Basta questo per cantare vittoria e rivendicare il primato nella sinistra? Andiamo: «se Atene piange, Sparta non ride». Secondo Conte al «vinto» Pd non resta che piangere sulla sconfitta. Ma è sicuro che il «vincitore» M5S possa ridere? Ammesso che davvero abbia vinto, è sicuro d’uscire bene dal conflitto? Da presunto vincitore Conte potrà pure scrivere con supponenza la «sua» storia, ma non ometta passaggi essenziali.
Rifletta sul «ritorno del represso» e sia più umile.