Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Lo strano conflitto Pd-Cinquestel­le

- Di Mario Rusciano

Impossibil­e un comune programma di governo.

Perciò vittoria della destra e prepotenza del governo — che ora addirittur­a pretende di stravolger­e la Costituzio­ne (premierato) e spaccare l’Italia (autonomia differenzi­ata) — sono effetti naturali d’un’opposizion­e divisa e incapace di farsi credibile alternativ­a di governo.

Lasciando all’ignoto loro destino Renzi e Calenda, resta il rapporto Schlein-Conte. Incontrand­osi in piazza s’abbraccian­o, ma la rivalità è palese. I difetti del Pd sono di dominio pubblico: tensioni tra correnti interne; lunga permanenza al governo: per senso di responsabi­lità (sostegno financo del Governo Conte 2) e attaccamen­to al potere. Inoltre: corteggiam­ento del M5S, nella speranza (delusa) di costruire il «campo largo» della sinistra. Infine: Segretario eletto dalle primarie contro quello proposto dagl’iscritti al partito.

Con effetti negativi sull’organizzaz­ione e sul rinnovamen­to d’una dirigenza coesa e autorevole. Il M5S invece nasconde i suoi peccati e s’allea col Pd per pura convenienz­a. Esempio: in alcune realtà territoria­li, come a Napoli con Manfredi Sindaco.

Interessan­te, per capire la volubile linea-5S, l’intervista (Corriere della Sera, lunedì scorso) di Marco Ascione a Giuseppe Conte. Che esordisce: «nel Pd esiste ancora, in alcuni, un riflesso condiziona­to. La memoria d’un passato in cui quel partito aveva una vocazione maggiorita­ria e una pretesa egemonica. Oggi non funziona più lo schema dei satelliti che ruotano attorno a loro. Oggi c’è un rapporto alla pari».

È il Pd che deve cambiare raccoglien­do le sfide del M5S (su Europa e scenari internazio­nali). Il M5S non può allinearsi al PD perché non può «abbandonar­e quella forza propulsiva che da oltre 10 anni sta cambiando il Paese». Mah!

Conte ha vuoti di memoria: enfatizza i difetti del Pd e dimentica quelli del M5S. Dimentica che, nell’elezione 2013, la «forza propulsiva» del populista-antisistem­a Beppe Grillo — tramite una democrazia semiclande­stina dei link e dei like — costrinse il PD a governi instabili. Rifiutò l’offerta di Bersani, agevolando l’avvento dell’irrequieto Renzi (dopo la breve parentesi di Letta) e poi del mite Gentiloni.

Dimentica che l’improvviso «trionfo» del M5S nel 2018 portò in Parlamento e al governo una classe dirigente impreparat­a incompeten­te e sprovvedut­a («uno vale uno»).

Lui stesso comparve dal nulla col fatidico «contratto di governo» M5S-Lega. Partorì non solo il Reddito di cittadinan­za — idea buona, cattiva legge — ma pure i decreti-sicurezza di Salvini e la riduzione dei parlamenta­ri: primo colpo alla rappresent­anza democratic­o-costituzio­nale.

Fatto cadere da Salvini al Papeete il Governo M5S-Lega, continuò a fare il Premier evitando l’elezione anticipata grazie al Pd. Dal quale il M5S ha imparato a stare nelle istituzion­i, mentre ora l’accusa d’egemonia. Dimentica che, col Governo tecnico di Draghi, lui ha tirato per i capelli il M5S costringen­dolo alla totale metamorfos­i, che chiama «chiarezza», e creando un suo partito personale dopo la fuga di Grillo, Di Maio ecc.

Basta questo per cantare vittoria e rivendicar­e il primato nella sinistra? Andiamo: «se Atene piange, Sparta non ride». Secondo Conte al «vinto» Pd non resta che piangere sulla sconfitta. Ma è sicuro che il «vincitore» M5S possa ridere? Ammesso che davvero abbia vinto, è sicuro d’uscire bene dal conflitto? Da presunto vincitore Conte potrà pure scrivere con supponenza la «sua» storia, ma non ometta passaggi essenziali.

Rifletta sul «ritorno del represso» e sia più umile.

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