Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Cari sindaci, lasciate a casa la fascia
Ecco come la Treccani definisce la «mobilitazione». Termine che calzerebbe a pennello al modus operandi di Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania. Di recente il governatore aveva già convocato una «piazza istituzionale», che di per se è un notevole ossimoro, quando tentò di mettere fine alla guerra in Ucraina «mobilitando» le scuole per far sfilare gli studenti al ritmo della sua musica pacifista. Adesso sta invece trascinando i comuni campani a una manifestazione a Roma. Loro, i sindaci, dicono che ci andranno per ottenere l’erogazione immediata da parte del governo dei fondi dell’accordo di coesione; e del resto che altro potrebbero fare i sindaci se non chiedere i soldi che spettano loro? Ma lui, il «mobilitatore», dice che invece vanno in piazza contro il progetto del governo di «autonomia differenziata». Dal che la protesta del centrodestra: possono il gonfalone della Regione, che è di tutti i cittadini, e le fasce tricolori dei 550 sindaci, che li identificano con la Repubblica, «mobilitarsi» per un a battaglia politica e di parte?
In effetti si è stratificata nel tempo nel nostro paese una confusione non da poco tra istituzioni e partiti (ricordiamo che quest’ultima parola viene da «parte», cioè fazione), e dunque anche tra istituzioni e politici che le rappresentano pro tempore, cioè per il tempo del loro mandato.
Le Regioni, per esempio, partecipano a un organismo che ha assunto nel tempo valenza pseudo costituzionale, nel quale lo
Stato non solo consulta, ma tratta con loro su provvedimenti e leggi. In quella sede, dunque, le Regioni sono un’articolazione della Repubblica, e i loro presidenti ci tengono ad essere considerati tali. Ma una volta usciti da lì, i governatori tornano ad essere i capi di una parte politica. Alcuni di loro gestiscono questo doppio ruolo con discrezione maggiore di quella che usi il nostro Presidente. Ma ciò non toglie che il problema riguardi tutti.
È un po’ la stessa cosa che succede — o almeno è successa — con il Csm: organo, questo sì previsto dalla Costituzione, di autogoverno dei magistrati, nel cui nome però correnti della categoria e partiti che vi eleggono i loro rappresentanti, tentando di attribuirsene il marchio per accrescere la propria autorevolezza.
Andrebbe fatta un po’ di pulizia, in queste materie, se vogliamo riportare il nostro dibattito pubblico in una dimensione più corretta e perciò più distesa. Per me un gonfalone o una fascia tricolore restano simboli in qualche modo «sacri», perché incarnano quella che Rousseau avrebbe chiamato la «volontà generale». E ogni volta che un Robespierre se ne fregia per i suoi fini mi preoccupo. Se dunque volete battervi contro il progetto del governo di autonomia differenziata, e francamente ci sono ottime e fondate ragioni per farlo, sopratutto qui nel Mezzogiorno, cari sindaci, fatelo a viso scoperto, con le vostre bandiere di militanti politici, di partiti, di associazioni, di movimenti. Non coprendovi dietro un simbolo che è vostro solo pro tempore, ed è nella sola disponibilità dei cittadini che rappresentate.