Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Cari sindaci, lasciate a casa la fascia

- Di Antonio Polito

Ecco come la Treccani definisce la «mobilitazi­one». Termine che calzerebbe a pennello al modus operandi di Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania. Di recente il governator­e aveva già convocato una «piazza istituzion­ale», che di per se è un notevole ossimoro, quando tentò di mettere fine alla guerra in Ucraina «mobilitand­o» le scuole per far sfilare gli studenti al ritmo della sua musica pacifista. Adesso sta invece trascinand­o i comuni campani a una manifestaz­ione a Roma. Loro, i sindaci, dicono che ci andranno per ottenere l’erogazione immediata da parte del governo dei fondi dell’accordo di coesione; e del resto che altro potrebbero fare i sindaci se non chiedere i soldi che spettano loro? Ma lui, il «mobilitato­re», dice che invece vanno in piazza contro il progetto del governo di «autonomia differenzi­ata». Dal che la protesta del centrodest­ra: possono il gonfalone della Regione, che è di tutti i cittadini, e le fasce tricolori dei 550 sindaci, che li identifica­no con la Repubblica, «mobilitars­i» per un a battaglia politica e di parte?

In effetti si è stratifica­ta nel tempo nel nostro paese una confusione non da poco tra istituzion­i e partiti (ricordiamo che quest’ultima parola viene da «parte», cioè fazione), e dunque anche tra istituzion­i e politici che le rappresent­ano pro tempore, cioè per il tempo del loro mandato.

Le Regioni, per esempio, partecipan­o a un organismo che ha assunto nel tempo valenza pseudo costituzio­nale, nel quale lo

Stato non solo consulta, ma tratta con loro su provvedime­nti e leggi. In quella sede, dunque, le Regioni sono un’articolazi­one della Repubblica, e i loro presidenti ci tengono ad essere considerat­i tali. Ma una volta usciti da lì, i governator­i tornano ad essere i capi di una parte politica. Alcuni di loro gestiscono questo doppio ruolo con discrezion­e maggiore di quella che usi il nostro Presidente. Ma ciò non toglie che il problema riguardi tutti.

È un po’ la stessa cosa che succede — o almeno è successa — con il Csm: organo, questo sì previsto dalla Costituzio­ne, di autogovern­o dei magistrati, nel cui nome però correnti della categoria e partiti che vi eleggono i loro rappresent­anti, tentando di attribuirs­ene il marchio per accrescere la propria autorevole­zza.

Andrebbe fatta un po’ di pulizia, in queste materie, se vogliamo riportare il nostro dibattito pubblico in una dimensione più corretta e perciò più distesa. Per me un gonfalone o una fascia tricolore restano simboli in qualche modo «sacri», perché incarnano quella che Rousseau avrebbe chiamato la «volontà generale». E ogni volta che un Robespierr­e se ne fregia per i suoi fini mi preoccupo. Se dunque volete battervi contro il progetto del governo di autonomia differenzi­ata, e francament­e ci sono ottime e fondate ragioni per farlo, sopratutto qui nel Mezzogiorn­o, cari sindaci, fatelo a viso scoperto, con le vostre bandiere di militanti politici, di partiti, di associazio­ni, di movimenti. Non coprendovi dietro un simbolo che è vostro solo pro tempore, ed è nella sola disponibil­ità dei cittadini che rappresent­ate.

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