Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Se a Sanremo ci fosse stato...
Ha volato alto sull’indignazione via social dell’esercito di fan contro la «casta mediatica» della sala stampa e delle radio, delusi per il rovesciamento del verdetto sancito dalla stragrande maggioranza nel voto popolare. Si è tenuto a debita distanza dalle ombre di antimeridionalismo e di razzismo nel comportamento tutt’altro che esemplare del pubblico dell’Ariston dopo l’annuncio della sua vittoria, con altri tre napoletani, nella serata delle cover. E ha tagliato subito corto sulla (presunta) pregiudiziale discriminazione verso un ragazzo del Sud, accusato nemmeno tanto velatamente nei giorni scorsi di poter contare su una macchina di consensi ben attrezzata e, vista la provenienza, contigua a chissà quali organizzazioni.
Ammettiamolo, c’erano tutti gli ingredienti per reagire ricorrendo ai peggiori «ismi» del repertorio «sudista», a cominciare dalla retorica del vittimismo e di una mai sopita ostentazione del terronismo. E invece il rapper napoletano ha dato una lezione di stile e di maturità, nonostante la giovane età. «L’antimeridionalismo? Ma no, forse c’era negli anni ‘50, io sono nato nel Duemila. Volevo portare il napoletano sul palco della più importante manifestazione canora italiana, ho realizzato i miei obiettivi. E poi meridionale è anche Angelina Mango, una ragazza di 20 anni come me, è stato bellissimo vedere due giovani del Sud contendersi il primo posto».
Nemmeno un accenno al punitivo sistema di voto, al manifesto e deprecabile
tifo contro della sala stampa e delle radio. Come a dire che le regole del gioco, note da tempo, se le accetti vanno poi rispettate, anche quando il risultato finale può rivelarsi ingiusto. Bravo Geolier. Brava la lucana Mango che ha fraternizzato con il rapper. E bravo il tarantino Diodato che, come Geolier, ha escluso qualsiasi forma di discriminazione antimeridionale nelle contestazioni dell’Ariston. È questo il Sud che ci piace ed è significativo che siano tutti giovani ad averlo interpretato.
Ancora più significativo perché nelle stesse ore in cui il giovane rapper di Secondigliano ha offerto questa lezione a tutta l’Italia, soprattutto a quella che aveva «contro» (con molto seguito, tra l’altro, anche a Napoli e nel Sud), si è infiammato lo scontro nazionale per le invettive sempre più offensive del presidente campano De Luca contro il governo, composto a suo dire da «farabutti, imbecilli e delinquenti politici». Un’ulteriore raffica di insulti dopo che, già nei giorni scorsi, il governatore aveva definito gli attuali ministri «dei disturbati mentali che vanno
ricoverati», fino ad evocare «la resistenza e la lotta armata». Tutt’altra immagine del Sud agli occhi del Paese e del Nord. Un linguaggio rozzo, violento, pericoloso e funzionale al solo obiettivo di De Luca, ormai esplicito, di diventare il frontman della protesta contro le penalizzanti politiche del governo nel Mezzogiorno, rilanciare le sue quotazioni dopo gli scarsi e deludenti risultati ottenuti da presidente della Campania, regolare in modo definitivo i conti con il proprio partito. Immagine e linguaggio regressivi per il Sud, sicuramente perdenti, che continuano a solleticare la contrapposizione territoriale e identitaria rispetto alle altre aree del Paese per alimentare un ribellismo e un vittimismo senza prospettiva. È cosa nota che nella dissipazione delle parole è più facile dissimulare e inseguire l’inganno, al contrario della continenza.
Alla radicalizzazione del linguaggio e dei comportamenti, tra l’altro, si aggiunge una visione sempre più «padronale» delle istituzioni, come ha messo ben in evidenza Antonio Polito domenica scorsa su questo giornale, con la convocazione di «piazze istituzionali» e l’utilizzo improprio di simboli istituzionali per battaglie, sicuramente sacrosante, ma comunque di parte. Siamo ormai all’apoteosi incontrastata della personalizzazione dei vertici istituzionali, con l’identificazione indebita tra l’istituzione, che è di tutti, e l’inquilino che pro-tempore la governa.
Una deriva, purtroppo, contro cui nessuno del mondo politico e culturale vicino a De Luca, anche per le ravvicinate scadenze elettorali, ha preso in queste ore le distanze senza «se» e senza «ma». Intere pagine di giornale e migliaia di post sui social sono stati dedicati, nei giorni scorsi, alla correttezza e alla qualità del «napoletano» scritto da Geolier. L’italiano corretto ma sguaiato di De Luca, invece, continua a passare quasi inosservato. È stato necessario un post della Meloni per spingere la Schlein a dichiarare che «non c’è bisogno del turpiloquio per attaccare le disastrose scelte del governo». Troppo poco. E con troppi «ma».