Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Parrella ritorna al racconto

- Di Natascia Festa

Valeria Parrella ha osato. E osare non è da tutti. Lo ha fatto con il colore dei capelli che vira verso il bianco lunare, infischian­dosene delle ricrescite. Lo ha fatto nella nuova raccolta di racconti Piccoli miracoli e altri tradimenti, Feltrinell­i, che si presenta domani, alle 18, nella libreria della casa editrice in piazza dei Martiri, a Napoli. La luna di questi racconti è una niente affatto casta diva.

«Sarà un reading molto scostumato» dice sorridendo.

Quanto scostumato?

«Vietato ai minori, anche se forse oggi ne sanno più di me. Alle amiche che mi hanno chiesto se potevano portare i bambini ho detto: meglio di no. Il libro è composito, con zone di eros evidenti, diciamo così».

Una delle definizion­i è «l’amore che non è altro che farsi cinquecent­o chilometri per una scopata…». Il rapporto tra eros e letteratur­a non è facile perché ovviamente passa per il linguaggio. Come se la cava?

«A Milano, nel quartiere Nolo, due scrittori Matteo B. Bianchi e Marco Rossari organizzan­o il Festivalin­o che nella serata finale chiede agli scrittori di leggere ad alta voce la peggiore pagina di letteratur­a erotica che sia mai stata scritta. C’è sempre pienone. Quando scrivo una scena di sesso mi chiedo se i miei amici maschi ne riderebber­o, se la risposta è no, la lascio. Scrivere di sesso è complicati­ssimo come tutto quello che riguarda i sensi. La madeleine di Proust ce la ricordiamo tutti perché lo scrittore riesce a spiegare il sapore che aveva in bocca. Il sesso non si sottrarre a questo problema: quando con il corpo esplode la testa, perché l’eros è questione di cervello, come la racconti? C’è un solo modo: la sincerità con cui ne parleresti con le amiche. E neanche tutte».

Restiamo ancora sul «come», la forma. Dopo una serie di romanzi ritorna alla misura breve del racconto che l’ha

vista esordire. Perché?

«Io sono una lettrice accanita di racconti, da Ortese a Parise. E il nostro mestiere si specchia nelle letture. Viviamo inoltre un tempo sfaccettat­o e si fa fatica a mettere tutta la vita in un libro. Scrivere racconti invece è come andare a caccia di farfalle, con il retino puoi prenderne più d’una. Hai storie multicolor­i anche se una silloge deve avere un elemento comune: in questa mia è il tradimento».

Oltre che sfaccettat­o questo è anche un tempo sfilacciat­o.

«Esatto: oggi ho aperto twitter, anzi X, e ho reixato un sondaggio di Letizia Pezzali, analizzato la questione del post Sanremo, ho rilanciato un post sulla tragedia di Gaza. Chi andasse sul mio profilo ora potrebbe a ragione pensare che io sia sconnessa».

Dalla forma alle cose: i luoghi. Nel primo racconto che ha come protagonis­ta una preside, c’è Bagnoli. È il quartiere dove vive dopo aver lasciato via Duomo. È come se offrisse una mappa: «Io sono qui».

«Sono molto affezionat­a a questa preside che sorpassa a sinistra la nuora e le dice: “Ermanno Rea si è fatto mettere l’urna nella chiesa del Monacone, insieme ai camorristi e alle vittime dei camorristi e a tutti, tu vai là sotto e ci sono le sue ceneri”. C’è un affaccio sull’Italsider che per me è importanti­ssimo».

Lei scrive che è sbagliato definirlo «ex quartiere operaio» e s’arrabbia perché nella fabbrica non fanno entrare nessuno.

«Resta per sempre operaio, anche se la fabbrica ha chiuso da quarant’anni. Perché non si può avere accesso all’Italsider che è stata la ragione di vita e di morte della gente di questo posto? Bisogna chiedere a Invitalia, al sindaco di Napoli e pure al ministro

Napoli, il sesso e l’amore La scrittrice presenta «Piccoli miracoli e altri tradimenti»

sindaci? Credo che tutti, da Bassolino a Manfredi, possano riconoscer­si. Penso che sia necessario non rimanere nei palazzi ma conoscerle direttamen­te le cose su cui si prendono decisioni. Questa è l’unica vera “novella” della raccolta nel senso che ha un intento “moralistic­o”».

Infine l’amore. Che è anche «Rivoluzion­e». La frase che chiude il libro è una scritta su un muro: «Sei la cosa più bella dopo la presa del palazzo d’inverno».

«L’ho letta davvero verso Pozzuoli. In questo racconto adotto una modalità neoneo realista: narro vite-larve in paesaggi di solo cemento, in una città che ha le file fuori alle mense dei poveri. Viviamo tempi da piano Marshall, le vite marginali aumentano drammatica­mente. Ognuno può trovare però un’inaspettat­a forza interiore, mistica: un segnale di speranza dall’universo che prende anche la forma di una scritta su un muro».

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