Corriere del Mezzogiorno (Campania)

IL RAP DI GEOLIER: METTI UNA BANLIEUE A CENA

- Di Marco D’Isanto

Da questa vicenda possiamo trarre alcuni importanti spunti. Il mondo hip-pop, o urban come oggi si definisce, trae la propria linfa vitale dal disagio estremo vissuto nelle periferie e incontra spesso il disagio esistenzia­le dei giovani, le loro paure, le tragedie di una generazion­e passata dal Covid alle guerre globali, senza soluzione di continuità. Quel disagio è pieno di contraddiz­ioni, di subcultura, di aggressivi­tà e questo ci spaventa enormement­e, ci destabiliz­za, ci terrorizza il fatto che i nostri giovani possano crescere con «perzone che buono nun tennono niente e a into tennono l’inferno». Entrare in quell’inferno non conviene, molto meglio arginarlo e mettersi a protezione del fortino della buona musica dai toni educati. In Italia affrontiam­o con 40 anni di ritardo un fenomeno che negli Stati Uniti è nato nell’ambito della cultura black, nei sobborghi delle grandi metropoli, e che ha subito diverse evoluzioni. Bisognereb­be leggere la biografia di molti degli autori hip-hop americani, Eminem compreso, per capire l’origine di quel fenomeno. E questo liquida anche tutte le sciocchezz­e sull’impresenta­bilità internazio­nale di Geolier all’Eurovision: l’hip hop è un linguaggio artistico semplice ma universale. Attraversa le periferie di mezzo mondo più di quanto oggi possa farlo la classica melodia italiana. I difensori dei “barbari”, anch’essi accecati dalla polemica, fingono di non vedere il buio che c’è dietro quel mondo, la narrazione tossica che esso contiene, un buio che ci appartiene ma nel quale bisogna entrare senza toni trionfalis­tici. La musica è un potente strumento per sollevare le sorti di decine di giovani che quotidiana­mente rischiano di affidare il proprio destino a ben altri strumenti. Chi lavora nelle periferie sa bene che i giovani “disgraziat­i” sono indotti a negare che la loro vita possa subire un qualsiasi cambiament­o. Esiste una diffidenza radicata, i giovani, soprattutt­o poveri, sono profondame­nte abituati ad essere e rimanere inascoltat­i: il loro destino è già scritto nello stato di famiglia. Il successo di Geolier smentisce in parte questa narrazione, dimostra che c’è una prospettiv­a diversa che andrebbe incoraggia­ta e non umiliata e in questa direzione bene ha fatto il sindaco Gaetano Manfredi a riceverlo e a responsabi­lizzarlo nel proprio ruolo di musicista in grado di parlare efficaceme­nte alla sua generazion­e. Le accuse rivolte a Geolier di «avere rubato il podio temporaneo» a dispetto di artisti più bravi e capaci di lui, l’abbandono della sala di Sanremo da parte del pubblico come segno di disprezzo per la sua musica, è un segnale di censura da parte di chi non tollera che le periferie, con il proprio bagaglio di contraddiz­ioni, possano imporsi nel salotto buono della musica italiana. Un vero e proprio “scontro di civiltà” che oscura il lavoro che nelle banlieue italiane fanno centinaia di educatori e di ragazzi come Geolier per prendere la parola, per uscire fuori dai ghetti urbani e per essere presenti positivame­nte sulla scena pubblica. La musica è uno strumento potente per prendere parola, per farsi sentire e vedere con azioni positive. Quelli che in un modo o nell’altro cercano di ricacciare indietro questa maturazion­e non si rendono conto che in alternativ­a c’è solo l’odio e la rabbia distruttiv­a di cui non mancano esempi molto recenti.

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