Corriere del Mezzogiorno (Campania)
IL RAP DI GEOLIER: METTI UNA BANLIEUE A CENA
Da questa vicenda possiamo trarre alcuni importanti spunti. Il mondo hip-pop, o urban come oggi si definisce, trae la propria linfa vitale dal disagio estremo vissuto nelle periferie e incontra spesso il disagio esistenziale dei giovani, le loro paure, le tragedie di una generazione passata dal Covid alle guerre globali, senza soluzione di continuità. Quel disagio è pieno di contraddizioni, di subcultura, di aggressività e questo ci spaventa enormemente, ci destabilizza, ci terrorizza il fatto che i nostri giovani possano crescere con «perzone che buono nun tennono niente e a into tennono l’inferno». Entrare in quell’inferno non conviene, molto meglio arginarlo e mettersi a protezione del fortino della buona musica dai toni educati. In Italia affrontiamo con 40 anni di ritardo un fenomeno che negli Stati Uniti è nato nell’ambito della cultura black, nei sobborghi delle grandi metropoli, e che ha subito diverse evoluzioni. Bisognerebbe leggere la biografia di molti degli autori hip-hop americani, Eminem compreso, per capire l’origine di quel fenomeno. E questo liquida anche tutte le sciocchezze sull’impresentabilità internazionale di Geolier all’Eurovision: l’hip hop è un linguaggio artistico semplice ma universale. Attraversa le periferie di mezzo mondo più di quanto oggi possa farlo la classica melodia italiana. I difensori dei “barbari”, anch’essi accecati dalla polemica, fingono di non vedere il buio che c’è dietro quel mondo, la narrazione tossica che esso contiene, un buio che ci appartiene ma nel quale bisogna entrare senza toni trionfalistici. La musica è un potente strumento per sollevare le sorti di decine di giovani che quotidianamente rischiano di affidare il proprio destino a ben altri strumenti. Chi lavora nelle periferie sa bene che i giovani “disgraziati” sono indotti a negare che la loro vita possa subire un qualsiasi cambiamento. Esiste una diffidenza radicata, i giovani, soprattutto poveri, sono profondamente abituati ad essere e rimanere inascoltati: il loro destino è già scritto nello stato di famiglia. Il successo di Geolier smentisce in parte questa narrazione, dimostra che c’è una prospettiva diversa che andrebbe incoraggiata e non umiliata e in questa direzione bene ha fatto il sindaco Gaetano Manfredi a riceverlo e a responsabilizzarlo nel proprio ruolo di musicista in grado di parlare efficacemente alla sua generazione. Le accuse rivolte a Geolier di «avere rubato il podio temporaneo» a dispetto di artisti più bravi e capaci di lui, l’abbandono della sala di Sanremo da parte del pubblico come segno di disprezzo per la sua musica, è un segnale di censura da parte di chi non tollera che le periferie, con il proprio bagaglio di contraddizioni, possano imporsi nel salotto buono della musica italiana. Un vero e proprio “scontro di civiltà” che oscura il lavoro che nelle banlieue italiane fanno centinaia di educatori e di ragazzi come Geolier per prendere la parola, per uscire fuori dai ghetti urbani e per essere presenti positivamente sulla scena pubblica. La musica è uno strumento potente per prendere parola, per farsi sentire e vedere con azioni positive. Quelli che in un modo o nell’altro cercano di ricacciare indietro questa maturazione non si rendono conto che in alternativa c’è solo l’odio e la rabbia distruttiva di cui non mancano esempi molto recenti.