Corriere del Mezzogiorno (Campania)
L’opzione possibile che non c’è
Nello senario attuale, frammentato da pluralità di gruppi di interesse e inasprito da prolungato ristagno economico, il confronto ha assunto connotati trasversali, che hanno eroso la linea di confine tra destra e sinistra, indirizzando il focus sulla credibilità ad affrontare e gestire temi di reale interesse: in primo luogo, recupero di prospettive di sviluppo e attenuazione delle diseguaglianze territoriali e sociali.
A qualcuno spiacerà ammetterlo, ma l’attuale Governo ha compiuto notevoli progressi in quanto credibilità. Sul piano internazionale, fin dal proprio insediamento, la Premier è stata pronta a lasciarsi alle spalle la demagogia anti europea, su cui aveva in gran parte fondato la propria spettacolare ascesa (in questo caso, almeno, viva l’incoerenza). Ha mantenuto una salda posizione atlantica, nonostante le tensioni all’interno del Paese in seguito alle guerre in Ucraina e Medioriente. Non penso che un esecutivo di centro sinistra avrebbe potuto agire diversamente.
Riguardo alle questioni interne, occorre distinguere tra colore politico delle iniziative e validità della loro concezione ed esecuzione. Mi limiterò a tre esempi. Si può accusare di essere di destra una manovra di bilancio che, nell’ambito della coperta stretta dei conti pubblici, è stata soprattutto indirizzata al sostegno dei ceti meno abbienti? Oppure che la riforma istituzionale, volta a conseguire maggiore autorevolezza all’esecutivo, sia il preludio di una svolta autoritaria? Venendo infine al percorso verso l’autonomia differenziata - prezzo pagato obtorto collo da Meloni in nome della tenuta della coalizione -, si dimentica con troppa disinvoltura delle sue fondamenta, fissate dalla sciagurata riforma della Costituzione, promossa da un Governo di sinistra. Tali esempi - se ne potrebbero aggiungere altri- dimostrano che il colore degli esecutivi riguardo alle priorità si sia alquanto scolorito. Sintetizzando sul merito, legittimo rilevare una navigazione a vista della politica economica, dispersiva da un lato, inclinante verso lo statalismo dall’altro. Ritengo, viceversa, positiva la scelta, contestata da sinistra, di centralizzare la gestione del Pnrr, viste le oggettive difficoltà a finalizzarne e gestirne la realizzazione. L’obiettivo, da lungo tempo dovuto, di conferire maggiore stabilità ai governi non è divenuto meno necessario, a causa della riforma pasticciata con cui viene perseguito. Nel contrasto all’autonomia differenziata, non basta tuonare contro la discriminazione del Mezzogiorno, ma occorre anche evidenziare i rischi per la conduzione di politiche di rilevanza nazionale (energia, salute, istruzione), riconducibili all’incremento dei già eccessivi poteri di interdizione dei Presidenti di regione, con ricadute negative anche per il Sud.
Nonostante gli ampi spazi per individuare proposte alternative, i due principali partiti di opposizione paiono impermeabili alla lezione della scorsa legislatura. Il Partito Democratico ha appannato la propria vocazione riformista nel rincorrere l’alleanza con un partito d’impianto protestatario quali i 5 Stelle. Ambedue condividono una sorta di hybris nel sentirsi depositari degli anticorpi contro una supposta deriva autoritaria. Da qui iniziative concentrate su denunce, assumenti inevitabilmente coloriture demagogiche, nell’illusione di logorare un Governo, peraltro ben lungi dall’aver risolto le principali urgenze della Nazione. E di cui i sondaggi seguitano a confermare stabilità di consensi. Così come confermano la grande percentuale (40%) di elettori delusi. Verosimilmente non disponibili a cambiare attitudine, se non stimolati da partiti in grado di misurarsi con la concretezza dei problemi e di «sporcarsi le mani» nell’individuare la via della loro soluzione. Un’ alternativa credibile è pertanto ancora avvolta nel porto delle nebbie.