Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Se son fiori moriranno»
In scena da stasera il monologo «Con il vostro irridente silenzio», le ultime parole dello statista Dc e l’insieme delle carte scritte nei 55 giorni della sua prigionia
Moro, Gadda, Pasolini, De Gasperi, Paolo VI, Fava, Basaglia. C’è un filo rosso che lega questi personaggi dell’Italia del secondo ‘900, tutti interpretati da Fabrizio Gifuni, fra teatro, cinema e televisione. Un filo che tiene insieme politica, cultura e memoria. Ultimo della lista proprio lo statista rapito e giustiziato dalle Br nel 1978, protagonista del monologo «Con il vostro irridente silenzio», le ultime parole di Aldo Moro e l’insieme delle carte scritte nei 55 giorni della sua prigionia, al Nuovo da stasera alle 21 e fino a domenica.
Non è un caso che lei abbia rappresentato tutte queste figure.
«Certamente no, diciamo che io sono un attore ma con una forte passione storica, specie per quella Storia degli ultimi decenni del ‘900, che oggi appaiono del tutto rimosse dalla coscienza del paese».
Intende dire che c’è stata una sorta di rimozione collettiva?
«In fondo sì, perché dopo la straordinarietà degli anni ’60 e ’70, in cui nel bene e nel male, ci si sentiva al centro di grandi processi epocali – dalle grandi lotte sociali e civili alla violenza scatenata dal terrorismo – è seguito poi il cosiddetto riflusso. Ovvero la necessità di lasciarsi quegli anni cosiddetti di piombo alle spalle, voltando pagina e vivendo con leggerezza quelprimi
Fino a domenica 18 al Piccolo Bellini è di scena «Se son fiori moriranno», testo e regia di Rosario Palazzolo, con Simona Malato, Chiara Peritore e Delia Calò. È il primo atto di un «Dittico del sabotaggio» di Palazzolo. Al centro dell’insolita indagine teatrale, ci sono una madre e una figlia, un’agonia di 15 anni, una stanza sprangata, un dolore che sbatte sulle pareti e sui corpi.
"Il senso del lavoro Il teatro è rimasto l’unico luogo di libertà, in cui poter riflettere con un pubblico motivato e attento
«Perché il teatro è rimasto l’unico luogo di libertà, in cui poter riflettere con un pubblico motivato, attento e silenzioso su vicende come questa. Un modo anche per verificare se c’è ancora interesse per questo nostro recente passato, con tutte le implicazioni che hanno sul presente, o se è davvero materia da relegare alla soffitta dei ricordi, per chi li ha vissuti».
Veniamo più specificamente allo spettacolo di stasera, che segue un film simile, «Esterno notte» di Bellocchio del 2022.
«Il progetto teatrale era nato prima, nel 2018 per una presentazione al Salone del Libro di Torino. E e vede al centro della drammaturgia curata da me le lettere scritte dallo stesso leader Dc ai colleghi di partito, ai rappresentanti delle istituzioni e alla famiglia durante la prigionia, testi scoperti in due fasi: il 1° ottobre 1978, grazie al Reparto antiterrorismo dei Carabinieri e poi nel 1990, durante una ristrutturazione dell’ex covo brigatista di via Monte Nevoso a Milano. Un corpus definito “Memoriale Moro”, giunto attraverso i dattiloscritti delle Br che invece bruciarono tutti gli originali, pur avendo promesso inizialmente di rivelare al popolo tutti gli interrogatori sui segreti del paese, cosa che invece non avvenne, lasciando inquietanti interrogativi sulla natura stessa del rapimento».
C’è una sua presa di posizione su questa spinosa materia?
«Io faccio teatro e racconto, sta poi al pubblico farsi una propria idea sui possibili scenari nascosti dietro questa terribile vicenda, che porterà Moro a sentirsi tradito dal suo partito e dai suoi ex amici, così come sintetizzato nella sua frase che dà il titolo alla pièce».