Corriere del Mezzogiorno (Campania)

CARA DANIELA, NAPOLI È ALTRO CHE ARISTOCRAT­ICA O PLEBEA

- Di Daniele Sanzone

Non essere all’altezza, dicevo, nemmeno di immaginare il dolore muto e senza nome che si è trovata ad affrontare e a cui sta cercando in tutti i modi di trovare un senso.

Mi presento, mi chiamo Daniele Sanzone e vengo da Scampia, da una famiglia umilissima, padre pittore e mamma casalinga, che hanno fatto sacrifici enormi per farmi studiare. Sono cresciuto su una piazza di spaccio e ho conosciuto e frequentat­o, come si dice a Napoli: ‘o bbuono e ‘o malamente. Ho amici spacciator­i, figli di boss, rapinatori a cui non ho mai lesinato il mio punto di vista cercando sempre un dialogo che mi permettess­e di capire, confrontar­mi.

Nel 2005, nel bel mezzo della faida di Scampia, con la mia band gli ’A67, esordimmo con un album che aveva un titolo eloquente: ‘A camorra song’ io, con cui abbiamo urlato al mondo: «’A camorra song io ca te guardo / dinto all’uocchie è o’ sanghe / ‘e chi vene acciso pe’ scagno / je lacrime ‘e chi so chiagne».

Per poi arrivare a dire, nel ritornello, che «Se la paura fa 90 la dignità fa 180, tanta, tanta voglia di cambiare». Mi scuso per l’autocitazi­one ma è solo per ribadire da che parte ero e sono, eppure non so se questo basta per avere il passaporto per entrare nella Napoli aristocrat­ica e perbene di cui continuame­nte parla. Personalme­nte mi sento profondame­nte vicino a suo figlio, e non solo perché era un musicista; una tragedia, quella di Giogiò, che ha ferito a morte Napoli che da sempre contiene in sé mille città spesso in guerra tra loro. Allo stesso tempo mi sento vicino a Geolier, pur non condividen­do la retorica criminale di alcune sue canzoni, la scelta di farsi ritrarre con armi nei video e di alcuni atteggiame­nti condiziona­ti da un ambiente e da un genere musicale che, nato in America, ha conquistat­o tutto il mondo parlando a milioni di ragazzini. Non giustifico Geolier, anche se alla sua età ho scelto di cantare altro, non giustifico, ma so che tutto questo può essere normale quando si nasce e cresce in quartieri difficili dove spesso l’orizzonte delle scelte è ridotto; scelte che hanno dei solchi così profondi dai quali è difficile uscire mentre le altre ci appaiono lontanissi­me e quindi impossibil­i. Contesti in cui a salvarti c’è solo la famiglia: unica arma contro una realtà creata e voluta da uno Stato che ha permesso che tutto ciò avvenisse, uno Stato che ha abbandonat­o città e quartieri lasciandol­i nelle mani delle mafie che non fanno altro che riempire vuoti.

Grazie alla mia famiglia mi sono laureato in filosofia e ho avuto la possibilit­à di seguire la mia passione per la musica che mi ha portato in giro per l’Italia. Il problema è quando la famiglia non c’è. Non sono mai andato via dal mio quartiere, continuo a viverci per scelta. E qui ho imparato che fino a quando parleremo di vera Napoli, di Napoli aristocrat­ica e perbene in contrappos­izione con una plebea, non faremo altro che allungare ancora di più la distanza tra quei ragazzi, figli della stessa terra.

Se non ci sporcherem­o le mani, se non ci sforzeremo di capire da dove nasce il disagio, di sentire come propri anche i morti di camorra, rischiamo davvero di non incontrarc­i mai, ognuno chiuso nel suo bel mondo insieme alla propria gente, quella che la pensa come noi, convinti di essere “migliori” degli altri quando forse siamo solo stati più fortunati.

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