Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Antonio il Fregoli e Cleopatra la diva
superare la natura». «Da entrambi i lati le stanno dei graziosi bambini paffuti, come sorridenti amorini». E «le sue donzelle, simili a Nereidi o sirene, le si affaccendano d’attorno e nell’atto d’inchinarla l’adornano».
Insomma, proprio un equivalente ante litteram della soubrette circondata da boys e girls. E fu alla luce di una simile narrazione, ricordo, che - in un allestimento di «Antonio e Cleopatra» firmato nella stagione 1977-’78 da Roberto Guicciardini e garantito dall’interpretazione nel ruolo dei protagonisti di due mostri sacri come
Giorgio Albertazzi ed Anna Proclemer - Cleopatra si strinse fra le mani un aspide di bronzo mentre moriva in piedi come una specie di Wanda Osiris sulla sua famosa scala.
Per quanto invece riguarda l’Antonio-Fregoli, basta considerare i modi opposti in cui si rapporta a Cleopatra in due scene del quarto atto. Nell’ottava dice: «O luce del mondo, cingi il mio collo armato; slanciati, con tutti i tuoi ornamenti, attraverso alla mia impenetrabile armatura fino al mio cuore e cavalca trionfante sui suoi balzi»; mentre nella dodicesima definisce Cleopatra «infame egiziana», «puttana tre volte incostante», «falsa anima d’Egitto», «fatale incantatrice», «vera zingara» e «strega», gridandole in faccia: «(...) segui il suo carro (quello di Cesare, n.d.r.), come la più grande vergogna di tutto il tuo sesso».
Ebbene, direi che l’adattamento del testo originale di Shakespeare, firmato dallo stesso Valter Malosti insieme con Nadia Fusini, illustra tutto questo come meglio non si sarebbe potuto, giacché punta decisamente, e attraverso una serie
d’invenzioni tanto fondate quanto agili, sul travestimento e sulla recita. A cominciare da quell’Agrippa che pronuncia anche battute di altri personaggi.
Parliamo, d’altronde, di una riscrittura colta, visto che la fonte di riferimento è la «Vita di Antonio» di Plutarco. E l’acme, in tale ambito, lo si tocca con l’introduzione di un personaggio, Eros, non contemplato dal Bardo ma che a lui rimanda con un’evidenza non disgiunta dalla precisione filologica: dal momento che, grazie a un travestimento multiplo, diventa contemporaneamente lo schiavo di Antonio menzionato per l’appunto da Plutarco, la «summa» dei giovanetti presenti in vari testi shakespeariani e addirittura lo stesso Shakespeare.
Infatti, si esibisce in un pistolotto («Penis erectus non habet conscientiam. / Il piccolo dio Amore è troppo giovane / per saper cosa sia / la coscienza in amore. / Ma chi non sa che la coscienza in amore / nasce dall’infilarsi / in mezzo alle cosce?») che discende da alcuni dei Sonetti dedicati alla
Valter Malosti e Anna Della Rosa protagonisti della complessa tragedia di Shakespeare allestita, fra gli altri, insieme con il nostro Teatro Bellini dove sarà in scena dal 2 al 10 marzo
Dark Lady. Quella che nel verso 5 del Sonetto 144 viene definita «my female evil», ossia «la mia malvagità femminile». Ed è inutile sprecare parole sul fatto che Antonio potrebbe tranquillamente applicare questa definizione a Cleopatra.
Piuttosto, a dimostrare quanto sia motivato il livello colto dell’adattamento, sta la citazione di Kavafis («Come pronto da tempo, armato di coraggio, / salutala, Alessandria che si perde») volta a contraddire la melodrammaticità relativa al famoso aspide, con giusta ragione qui abolito. E il resto è affidato, in sostanza, ai due protagonisti. Malosti fa di Antonio un gigione incorreggibile e Anna Della Rosa, ancora una volta strepitosa, fa di Cleopatra un’oca che si traveste da «divina» dell’Ottocento. Sicché la sigla di questo spettacolo, intrigante e intelligente, sta nella scena che la vede davanti allo specchio per il trucco nel camerino di un’attrice. E il suo cerone è il colpo di pistola che si spara in bocca quando arriva il fantasma di Antonio con un mazzo di rose rosse.