Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Il teatrino che nasconde i problemi
E al ministro Sangiuliano, che chiedeva un dibattito pubblico: «Ditegli che io mi confronto con il presidente del Consiglio, non con i parcheggiatori abusivi». E poi però al presidente del Consiglio, che gli aveva suggerito di mettersi al lavoro invece che fare manifestazioni: «Senza soldi non si lavora, stronza, lavori lei». Un crescendo etico — anzi immorale — di fronte al quale ci si aspetterebbe qualche reazione da parte della città, dei suoi mâitres à penser, dei suoi «ceti medi riflessivi». Dopotutto, se Geolier presenta a Sanremo il suo pezzo rap in un fantasioso quanto criptico neo-dialetto, Napoli subito si immerge nel dibattito tra puristi e postmoderni, accademici e antagonisti. E De Luca? E il suo linguaggio istituzionalmente e culturalmente scorretto? Chi mai, nella superba ex capitale, gli ha dedicato qualcosa di più di un’alzata di sopracciglio o (assai più spesso) di un sorriso benevolo? E lo stesso Manfredi, che solo pochi giorni fa chiedeva «rispetto» per il rapper fischiato dalla platea dell’Ariston e che pure ha voluto evitare di unirsi alla manifestazione romana del “governatore”, ha mai preteso, l’algido Manfredi, un po’ di «rispetto» da De Luca nei confronti di una città immiserita e ridicolizzata dalle sue sciabolate semantiche? Come stupirsi se talvolta i napoletani restano vittime degli stereotipi più corrivi, quando da anni, scientemente, il loro «governatore» gioca a costruirsi il profilo della macchietta, una maschera
da Salone Margherita?
Ma questa è soltanto comunicazione politica — ovvero l’apparenza della politica — risponderà qualcuno. Giudizio opinabile, forse superficiale. Questo Paese viene da decenni di populismo, smaccata demagogia, personalizzazione carismatica del potere pubblico. Con la conseguenza che abbiamo sotto gli occhi: la metà degli italiani che non vanno più a votare, l’altra metà che segue la sirena di turno e subito dopo la butta nel cestino. Dalla svolta del 1989-1994, il Paese è diventato il laboratorio impazzito di una rappresentanza democratica fragile, mutevole, talvolta malmostosa. Ha puntato su leader anomali come Silvio Berlusconi. Ha incoronato e poi gettato alle ortiche Gianfranco Fini. Ha seguito in massa il pifferaio Grillo, commuovendosi al linguaggio del vaffa, e poi ha dimenticato anche lui. Ha assistito al formarsi di coalizioni sorprendentemente incoerenti, un centrosinistra che andava da Bertinotti a Mastella, un centrodestra che comprendeva nazionalisti e secessionisti, un premier venuto dal nulla che si alleava ora con la destra, ora con la sinistra. E poi i tecnici, tecnici di alto profilo che tuttavia testimoniavano clamorosamente il fallimento della rappresentanza parlamentare. La cosiddetta seconda Repubblica è stata la débâcle della politica. Dalla politica gli italiani si sono sempre più allontanati.
Ed è questo — proprio questo — il terreno che, giorno dopo giorno, tenacemente, viene arato da Vincenzo De Luca, con una strategia per il potere politico che utilizza il linguaggio dell’antipolitica, con un teatrino del grottesco che serve a coprire gli interessi in gioco, a nascondere le défaillance amministrative, a confondere le acque. Dietro quel teatrino restano, duri come il marmo, problemi concreti e insoluti, domande che non hanno risposta. De Luca non risponde ai ragionamenti di Sabino Cassese (non proprio l’ultimo venuto) sull’autonomia differenziata. Non risponde a chi gli rinfaccia la parziale incapacità di spendere le risorse europee.
Non risponde alle graduatorie degli istituti di rilevazione che, invariabilmente, stigmatizzano i ritardi della Campania nella gestione della sanità o dei trasporti. Preferisce chiamare a raccolta certi umori sudisti sempre pronti a rivangare «primati» fantasiosi e a recriminare sugli storici «torti» subìti.
Usa argomenti che, comprensibilmente, incrociano la richiesta di assistenza dei gruppi sociali meno favoriti, ma anche la distrazione dell’opinione pubblica, la povertà d’iniziativa dei ceti medi, la pigrizia opportunistica dei chierici. Ed è per questo che la forma — la sceneggiata degli insulti — diventa sostanza ed enfatizza la crisi della politica in Italia. Dopotutto il gioco funziona. De Luca è stato eletto e rieletto, e magari conquisterà il terzo mandato. E sì, è vero, nel mondo — a Gaza, in Ucraina, in Russia — succedono ogni giorno cose terribili, le più angosciose. Ma la tribù vesuviana preferisce non pensarci. Preferisce godersi l’avanspettacolo.