Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Niente cellulari, bisogna vivere
«Davanti alle scuole, i genitori devono poter parlare fra loro e con i bambini», ha sentenziato il primo cittadino, aggiungendo ai luoghi off-limits anche i giardinetti pubblici «per evitare che ci si trovi in tre su una panchina, ognuno fissato sul proprio schermo» (mentre è noto che quando ci si trova in tre sulla panchina è obbligatorio farsi un tressette); e si spinge così in là nella sua crociata da dichiarare di «voler favorire un’altra libertà: quella di vivere».
La retorica del vivere sta progressivamente alzando l’asticella del conflitto fra reale e virtuale, rivendicando al mondo sensibile, fatto di materia e di macerie, il Grado Uno dello stare al mondo. La realtà (tanto per stare alla realtà) ci racconta invece che anche in rete si vive. Di più: si produce, si lavora, si specula, ci si arricchisce, si delinque, si edificano nuove economie, si diffondono idee e opinioni, si formano consensi politici, si dà spazio a forme d’espressione culturale e artistica che prima del web erano condannate all’emarginazione.
Limitare (cioè aprire zone vietate) questa nuova dimensione esistenziale che si è insediata nella nostra, è una missione impossibile. E la nostalgia della socialità reale, che poi è alla base delle retoriche antitecnologiche, non si risolve dettando alla gente dei protocolli di comportamento. D’accordo, con i cellulari andiamo di più a sbatterci contro per strada; camminiamo parlando praticamente da soli, oscurati nella visuale da paraocchi invisibili; ogni tanto acchiappiamo un palo o un dissuasore; ma sempre meglio che farsi irreggimentare da nuovi divieti. Siamo o dovremmo essere una società adulta, che sa gestire da sé le proprie dipendenze ed è in grado di autolimitarsi. Perché vivere vuol dire, soprattutto, affrancarsi dagli educatori che vogliono spiegarti come farlo.
A sabato prossimo.
"Le false ricette Siamo o dovremmo essere una società adulta, che sa gestire da sé le proprie dipendenze ed è in grado di autolimitarsi. Perché vivere vuol dire, soprattutto, affrancarsi dagli educatori che vogliono spiegarti come farlo