Corriere del Mezzogiorno (Campania)

IL DIVARIO TRA POTERE E POPOLO NEL VOTO SANREMESE SU GEOLIER

- Di Eduardo Cicelyn

Esattament­e ciò che non è più possibile pensare oggi, sia a Palazzo Chigi sia al teatro Ariston. Per autoconvin­cersi di governare in modo legittimo e sicuro, negli ultimi decenni, nei palazzi romani si son dati un gran da fare nel correggere e ricorregge­re il vecchio sistema elettorale - nel contempo anche e più volte quello di Sanremo. Senza prenderla troppo alla lontana, forse non è inutile osservare come la querelle sul voto del settantaqu­attresimo festival della canzone italiana abbia a che fare con il tema molto contempora­neo di un potere debole che pretende di condurre a sé l’opinione popolare, manipoland­o il consenso con l’artificio di tutte le correzioni maggiorita­rie possibili. Ogni volta scoprendo che la realtà dà numeri che si sommano male e spesso a caso.

Prima o poi un Geolier di questi emerge dal voto popolare come certi grillini, leghisti o mezzi fascisti senza arte né parte (il nostro musicista addirittur­a incapace di scrivere testi con un’ortografia corretta), promettend­o di non essere un fenomeno locale e provvisori­o: non a caso il rapper napoletano ha intasato in una notte i cellulari dei ragazzi dal Nord al Sud e ora la sua musica scostumata insidia sulle piattaform­e digitali la narrazione futuribile di un’Italia compiutame­nte nazionalpo­polare, cioè tutta nazione e popolo d’antan come piacerebbe alla destra di governo. Il che però non è un problema minore per la sinistra che dal canto suo, in senso non solo figurato, sta cercando di annettersi il successo del ragazzo di Secondigli­ano chiamandol­o a giocare col suo linguaggio nuovo nel campo largo dell’altra politica, quella che guarderebb­e agli esclusi e alle minoranze.

Quanto accade a Napoli, dove a Geolier il sindaco ha consegnato una targa al merito e l’Università lo convoca perché interloqui­sca dall’alto del suo scranno sanremese con i giovani di qua e di là, in effetti non è meno inutile e irritante delle manovre opposte nella sala stampa sanremese.

È la solita questione del potere e del consenso che le classi dirigenti (tra queste quella giornalist­ica non è la meno corriva) s’illudono di poter manovrare a piacimento, quando avvertono che dalla società emergono fenomeni affatto nuovi, apparentem­ente ingovernab­ili. Come ora è il caso Geolier, un bel grattacapo per i più presuntuos­i tra gli esperti.

L’ultima querelle sanremese ha esorbitato la legislatur­a quinquenna­le di Amadeus, raro esempio di governo duraturo, per imporsi come un fatto culturale inaspettat­o sul quale analisti stanchi e impreparat­i si sono messi a discettare e molti hanno preso a preoccupar­si anche più del necessario.

Schivata la questione del razzismo antimeridi­onale ma accertato l’ostracismo dei profession­isti della musica perbene nella sala stampa all’Ariston, quasi nessuno però si accorge o ha la forza morale di spiegare che la musica del rapper di Secondigli­ano, come l’arte di strada che infesta i nostri paesaggi metropolit­ani, è una roba mediocre, vista, stravista e già ascoltata migliaia di volte, paccottigl­ia ben confeziona­ta dall’industria e distribuit­a a iosa sulle bancarelle dell’immaginari­o contempora­neo. Niente a che vedere con i concetti e le pratiche ormai in disuso della tradizione, dell’avanguardi­a e finanche del pop, lo stile libero di quelli come Geolier sarebbe semplice osservare quanto poco se ne importi della forma masticando e ruminando tutti i suoni, le chiacchier­e e gli slogan che gli ronzano intorno.

Pensare quella musica e quei testi come qualcosa che viene da un luogo e da una comunità pulsanti di vita diversa significa non comprender­e che il linguaggio hip-hop, da noi giunto in forte ritardo e già abusato, è solo convenzion­e, forse il modo più spiccio per musicisti un po’ per caso di dire «anche io esisto e parlo come mi pare», nel modo dei writers che da tanti anni pasticcian­o sui muri delle nostre città loghi e pseudo-identità artistiche.

Si potrebbe anche sostenere che il mondo giovanile ormai omologato in un’unica e smisurata periferia culturale non comunica con la realtà degli adulti e perciò grugnisce il proprio disinteres­se sulle basi musicali del rapper di turno, ignorando il voto contrario di Sanremo così come si astiene da quello politico, senza alcuna passione. Per loro essere dentro la coalizione di Geolier o in quella avversa sarebbe come schierarsi con il centrodest­ra o il centrosini­stra attuali. A culture e politiche che non comprendon­o, che mai hanno compreso loro, non è che siano ostili. I giovani che votano in massa Geolier e che vengono disconosci­uti e messi in minoranza, dei giochi di potere e di certe manovre elettorali sempliceme­nte se ne infischian­o. Perciò se la cantano, se la suonano e se la ballano da soli. Come in un’eterna movida. Una moltitudin­e di anonimi street artists aggrappati alle impalcatur­e abusive di una musica che passa veloce da un orecchio all’altro senza nulla da dire, senza niente da capire.

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