Corriere del Mezzogiorno (Campania)
VOLIA CHITIS, RITRATTO DI UN UOMO MEMORABILE
OSEGUE DALLA PRIMA gni volta di lui mi colpiva la naturale predisposizione a prendere e a tenere la scena di piccole feste familiari. Era il più anziano, il padre, il suocero, il nonno, l’uomo di multiformi talenti, ma non prevaleva per questo o per quello. Anzi, non prevaleva per niente. La sua partita con gli altri era vinta in partenza. Prima di sedere a tavola, prima di scendere in campo. Se c’era, nessuno gli avrebbe conteso l’attenzione. Chiunque tra noi gli avrebbe fatto volentieri da spalla.
Personalmente ho visto Peppino di Capri suonare la pianola e tacere o solo accennare i suoi pezzi più famosi per lasciare a Wolf, che poi tutti chissà perché chiamavamo Volia, il canto pieno, seppure non certo preciso. Credo sia una dote naturale di poche persone saper imporre la propria presenza senza arroganza, con quella vitalità spontanea di chi non teme sé stesso, ha piacere degli altri e sa giocare e divertirsi con i propri pregi e difetti. So bene quanto la vita professionale di Wolf Chitis, ebreo di non so quale vocazione e imprenditore di grande convinzione, lo abbia definito agli occhi del mondo e posso concordare che le fortune e sfortune nel lavoro abbiano impresso una forma chiara alla sua immagine pubblica. Quando una persona importante smette di esistere sembra se ne debbano ricordare solo le gesta che ne determinano il valore sociale, le opere realizzate, le relazioni più significative e i successi mondani. D’altronde già anni fa Wolf aveva dato alle stampe il racconto ufficiale di sé nel modo più diretto e sincero. Chiunque oggi fosse curioso di sapere qualcosa del personaggio Volia troverà in libreria una bella e divertente autobiografia. Perciò ieri, leggendo gli articoli che lo commemoravano, ho raccolto informazioni e aneddoti tratti da quel testo che non conoscevo, tuttavia niente proprio niente che mi restituisse i tratti della figura che avevo visto riempire e dominare le scene familiari a cui mi era capitato di assistere. Qualcosa di Volia, dell’uomo che ho frequentato io per un po’, ho provato allora a pensare aldilà delle storie fantasiose di cui aveva scritto e con le quali non smetteva di intrattenere amici e commensali con una certa spavalderia.
Per esempio, la leggenda di quando aveva spiegato a un Panatta avvilito e nervoso quali tiri giocare in un doppio in un circolo romano o di quando in un resort pugliese si era fatto introdurre da Peppino di Capri al pubblico degli ospiti come il famoso crooner americano Tony Bennet, al quale somigliava come una goccia d’acqua. Forse perché lo avevo incontrato nella casa posillipina dei miei amici e un paio di volte anche nella sua nei paraggi, l’idea superficiale che fino a ieri mi ero formato di lui era di un uomo di mare, anzi di un essere marino, fluttuante, come quelle forme imprecise di vita che s’intravedono nei fondali mentre scappano chissà verso dove, dominando lo spazio profondo per destino di specie. Chi conosce la gente di Posillipo, la più mondana di Napoli, altezzosa e alla mano, solare e lunare, generosa e sfuggente, capirà di che cosa sto parlando. Oggi però la vedo diversamente. Ormai lontano dai riflettori della professione, a tavola con la ribalda ricercatezza dei suoi ragionamenti politici ogni volta Volia aveva provato a impartirmi a lezioni che non potevo recepire nella trincea dove sono da sempre arroccato con le mie convinzioni più tenaci, e dunque già in quelle occasioni avrei dovuto rendermi conto di quanto le sue idee fossero invece solide e ferme come scogli tra le onde, per quanto aggredite dalle intemperie sempre lì conficcate in un qualche fondale invisibile.
Volia nella vita ne ha fatte e viste di tutti colori ma, se ci penso ora che non potrò più vederlo, che i suoi cari non potranno più averlo, me lo immagino emergere nel mare aperto come un faraglione battuto dal vento delle sue canzoni più amate, mentre ragiona se puntare diritto verso Capri o di rovescio sbracciare verso Capri. Per sempre lì dove oggi è. Credo che il suo ultimo viaggio sia terminato nel mezzo della cartolina napoletana, dove il mare non ha fondo, tutto è silenzio e le persone sono un grumo di ricordi pubblici e privati che ciascuno potrà circumnavigare quando e come vuole.