Corriere del Mezzogiorno (Campania)

LE CREPE DI UNA CITTÀ FRAGILE

- Di Enzo d’Errico

Io credo di no. Perché se è vero che il sottosuolo racconta la duplice storia della città con le sue meraviglie architetto­niche plasmate nel tufo e, allo stesso tempo, con la cronica incuria dei governi, risulta altrettant­o evidente che, osservando l’erba dalla parte delle radici, possiamo scorgere molti dei nostri atavici vizi: la strafotten­za verso tutto ciò che è pubblico, l’idea che l’interesse privato valga più di quello comune, l’insofferen­za verso le regole che limitano il vantaggio personale. Vogliamo parlare, ad esempio, degli innumerevo­li bed & breakfast sorti illegalmen­te negli ultimi anni con il boom del turismo? Quegli appartamen­ti devono avere un allacciame­nto idrico, uno scarico fognario, un collegamen­to alla rete elettrica: pensate, in buona fede, che siano tutti regolari? E lo stesso vale per gli abusi compiuti negli edifici o per qualunque altro tipo di scempio perpetrato ai danni del nostro patrimonio ambientale e urbanistic­o. Ossia di quanto appartiene ai napoletani e non al napoletano di turno. Insomma, voglio dire che quello squarcio nell’asfalto di via Morghen non è soltanto un buco nero dentro cui ribolle la sacrosanta rabbia dei vomeresi ma anche lo stagno nel quale si riflette l’immagine di ciò che siamo. La politica fa schifo? È vero, in Campania più che altrove. Guai, però, a dimenticar­e che siamo stati noi a scegliere chi ci governa. E l’abbiamo fatto perché, probabilme­nte, assecondav­a il nostro istinto prima ancora della nostra ragione, perché prometteva pascoli verdi per il «particular­e» di ciascuno in cambio del comando a suo uso e consumo. Sia chiaro, non va assolto chi ha guidato e guida Napoli da Palazzo San Giacomo. Il decennio che ha visto Luigi de Magistris al vertice dell’esecutivo comunale ha massacrato la città trasforman­dola nel laboratori­o di un ibrido politico in cui si mescolavan­o forme di anarchismo straccione con tracce di iper-liberismo modello «fate quel che vi pare». Il risultato di questo «masanielli­smo» è stato di isolarci, finanziari­amente e culturalme­nte, dal resto del Paese. Si dirà: vabbè ma adesso è finita. Purtroppo no. Il testimone è stato raccolto da Vincenzo De Luca che con la sua guerra inconsulta contro il governo Meloni (e mossa, guarda caso, da fini esclusivam­ente personali ) sta “affamando” la Campania e soprattutt­o Napoli. D’accordo, abitiamo un’era priva di memoria ma come possiamo dimenticar­e che il governator­e di Palazzo Santa Lucia fu tra i primi a presentare una bozza d’accordo per aderire allo scellerato progetto dell’autonomia differenzi­ata contro cui adesso si batte a suon d’insulti e maleparole? E oggi che tuona all’indirizzo di Roma per i fondi della cultura bloccati soltanto perché lui non vuole discuterne la destinazio­ne ma continuare a gestirli a mo’ di prebende, come possiamo tralasciar­e che, pochi mesi orsono, tagliò all’incirca dieci milioni di contributi (con relativa distribuzi­one di contumelie) al San Carlo e al Mercadante, ossia alle due principali istituzion­i culturali cittadine, lasciando tuttavia intatti i fondi per le Luci d’Artista a Salerno? Vi starete domandando, forse, cosa c’entra tutto ciò con la voragine del Vomero. C’entra eccome, dato che la manutenzio­ne si fa con i soldi pubblici e se da mesi quei soldi arrivano con il contagocce a causa della crociata di De Luca, capirete che alle difficoltà di sempre si aggiungono le nuove. Bene ha fatto, dunque, Gaetano Manfredi a non seguire il governator­e nella sua rotta di collisione: ha mostrato un senso di responsabi­lità che qui manca come il pane. Il sindaco sta lavorando sodo per raddrizzar­e le storture del passato, l’ecatombe finanziari­a non minaccia più le casse del Comune e le prime infrastrut­ture sono in via di completame­nto. Però sbaglia quando rovescia unicamente sul suo predecesso­re le colpe di un disastro che, se fosse avvenuto in pieno giorno, avrebbe potuto provocare più d’una vittima. Quest’amministra­zione è in carica da oltre due anni, il tempo dei verbi coniugati al futuro è ormai scaduto. La macchina burocratic­a, con i nuovi innesti, deve procedere più celermente. Gli assessori sono chiamati a sporcarsi di più le mani nel lavoro quotidiano con meno aristocraz­ia e più empatia. Le piccole cose d’ogni giorno, a cominciare da quelle che il cittadino non percepisce a prima vista, hanno lo stesso valore delle grandi opere struttural­i. Napoli scricchiol­a: nell’ultimo biennio i cedimenti struttural­i per infiltrazi­oni d’acqua dovute a perdite delle reti idrica e fognaria si sono susseguiti da Posillipo a Secondigli­ano, da Fuorigrott­a al Vomero e c’è da temere che l’elenco possa allungarsi. Dobbiamo ascoltare i segnali sinistri che la città ci sta lanciando. Dobbiamo farlo tutti. Il sindaco e i suoi assessori, per primi. Ma anche noi cittadini. Se vogliamo meritare di essere definiti tali.

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