Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Leggi e giustizia Il ruolo dei Pm nella nuova analisi di Bruti Liberati
Processi nei quali tanti nostri compagni (sì, compagni) hanno visto il Pm come nemico o, quanto meno, lo hanno visto poco disposto a dar peso ai valori «morali e sociali» che avevano portato dei militanti del giusto a non rispettare questo o quel comma di questa o di quella legge. Eppure, tante altre volte è capitato di stare istintivamente dalla sua parte quando sul banco degli imputati erano, per esempio, dei «padroni» che non rispettavano i diritti dei loro soggetti, dei loro dipendenti. Per i militanti politici, il pubblico ministero è una figura ambigua per necessità, si potrebbe dire. Perché, in definitiva, quello che i militanti vorrebbero è che ci fossero leggi più giuste, dalla parte di chi sta sotto e non di chi sta sopra. Di questo tengono istintivamente conto coloro che la legge deve giudicare, avendolo ora amico e ora nemico.
Per mia fortuna, è capitato anche a me di non rispettare coscientemente qualche legge e di doverne rendere conto. Ma è proprio per questo che ho letto con un misto di apprensione e di curiosità (nel senso buono del termine) il saggio che un magistrato di cui si è in tanti ad avere apprezzato l’onestà e il rigore in processi delicati, e che possiamo definire come più o meno «politici». Il libro in questione si intitola Pubblico ministero, Un protagonista controverso della giustizia, è uscito da Raffaello Cortina Editore (180 pagine, euro 18) e ne è autore Edmondo Bruti Liberati. È un saggio ampio e documentato che fa luce, con molta pazienza, su una professione che non sempre è una vocazione, come mi è capitato di constatare vedendo in un’università i tipi umani di ambo i sessi che miravano a quella carriera, a quella professione, apprezzabile per il prestigio che può dare ma apprezzabile anche, come giusto, dal punto di vista della remunerazione. Se ne poteva ricavare un sentimento di diffidenza, perché sembrava trattarsi di vocazioni più «borghesi» (per il prestigio nonostante tutto di quella professione, anche economico, in una società come la nostra) non «al di sopra delle parti». La minuziosa analisi di Bruti Liberati ci porta anche a evocare antichi modelli, dalla tragedia greca al cinema (più americano, inglese e francese che non italiano, con la lodevole eccezione di registi come Bellocchio e di certi film anti-mafia o anti-camorra, come il vecchio e ancora convincente Processo alla città di Luigi Zampa). E insomma ad avere del Pm una doppia immagine, di servitore dello Stato, ma anche della borghesia che lo controlla e se ne serve (e diceva brutalmente mio padre, socialista, i cui studi si erano fermati alla seconda o terza elementare, che le leggi le fanno i ricchi per fregare i poveri…). Nel caso di uno stato democratico, la cui legge fondamentale è la Costituzione, il Pm deve stare dalla parte del popolo, ma le leggi che deve far rispettare non sempre lo sono. Il saggio di Bruti Liberati si fa leggere con curiosità e con passione. Ci aiuta a capire meglio il mondo in cui viviamo, e la necessità e ambiguità di una professione e anche di una vocazione, ed è giusto e doveroso essergliene grati pur mantenendo nei confronti della «Giustizia» un filo di prevenzione.