Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Salvate la bellezza della città
Che provoca danni e costringe la città nell’emergenza continua, facendone trascurare l’estetica. La «cultura dell’emergenza» – radicata in politici, burocrati e cittadini – impedisce d’occuparsi d’altro. Figuriamoci della bellezza.
L’Italia è il Paese delle mille città (grandi, medie, piccole) piene di storia e monumenti eccezionali di valore inestimabile. Purtroppo la differenza tra altre città d’arte e Napoli non è banale e non ci fa onore. Lo ricorda d’Errico: troppi napoletani sono insensibili non solo all’estetica ma financo ai beni comuni essenziali al vivere civile. I cittadini sarebbero ottimi custodi di Napoli se ne conoscessero storia e cultura. Ma non è così, nonostante tentativi delle scuole e d’altre meritorie istituzioni private di educare ragazzi e giovani ad apprezzare l’incomparabile patrimonio artistico della città.
Solo coll’ignoranza e la noncuranza dei cittadini si spiega il pessimo stato d’abbandono dell’intero territorio cittadino. Innegabile la scarsità delle risorse come pure l’antica responsabilità della classe dirigente politica e amministrativa di qualche decennio precedente. Ma oggi, se ci fosse attenzione e sensibilità dei cittadini, non saremmo a questo punto e anche la classe dirigente diventerebbe più attenta e solerte.
Per «classe dirigente» però non s’intende soltanto quella del Comune (sindaco e Giunta). Il Comune è sì l’istituzione più responsabile dell’estetica della città: sia direttamente sia quale coordinatore di altre istituzioni competenti. Il problema infatti coinvolge più organismi pubblici, soprattutto le articolazioni locali del Governo nazionale: Prefettura e Forze dell’ordine (Ministero dell’interno); in particolare le Sovrintendenze (Ministero della Cultura).
Inoltre per classe dirigente non deve intendersi solo quella «politica». Pure l’apparato burocratico ha notevoli responsabilità legate alle molte competenze. Sono i funzionari e gl’impiegati pubblici ad applicare regole legali e comunali sulla salvaguardia del territorio; ma non sempre l’applicazione avviene con buon senso e buon gusto. Eppure sono anch’essi cittadini napoletani: rilasciano licenze, concessioni e autorizzazioni. Perciò se, per esempio, bar e ristoranti sono autorizzati a occupare il suolo pubblico impedendo la normale mobilità dei pedoni (specie anziani e disabili), costoro sono doppiamente responsabili: da amministratori e da cittadini. Non è più tollerabile che dovunque – dal centro antico al centro storico, dalle zone residenziali alle periferie – imperversino bar e baretti. C’è da pensare che le istituzioni preposte a controllare l’estetica dei luoghi non comunichino tra loro. E così Comune, Sovrintendenze, Vigili urbani ecc., ora sono troppo solerti, ora totalmente inerti. Consentono – chissà se per superficialità, disattenzione o qualcos’altro (speriamo lecito) – l’apertura di locali con tavolini e gazebi (di solito brutti) o l’affissione di orrendi cartelli pubblicitari in vie e piazze storiche o davanti a palazzi, Chiese e Musei ricchi di tesori artistici.
Certo neppure va sottovalutata la pressione corporativa dei cittadini «ristoratori» e «commercianti» (utili al consenso politico) o addirittura di sindacati (spesso non rappresentativi ma potenti). Hanno approfittato dell’anarchia prodotta dalla legislazione d’emergenza causa Covid e ora rifiutano di tornare alla normalità. Non capiscono che estetica e decoro sono indispensabili strumenti dell’elementare vivibilità nell’interesse generale: di cittadini, turisti, commercianti, albergatori. Non capiscono neppure che, se passa l’autonomia regionale differenziata della Lega-nord, aumenterà il malessere del Sud e saranno dolori per tutti.
Ora speriamo che a Napoli il sindaco Manfredi – dopo aver tracciato linee-guida di crescita della città in vista d’un nuovo Piano regolatore – presti uguale attenzione agl’interventi di lungo termine e alla necessità di curare estetica e decoro dell’intera città, cominciando col negare proroghe irrazionali di abusi e favoritismi.