Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Salvate la bellezza della città

- Di Mario Rusciano

Che provoca danni e costringe la città nell’emergenza continua, facendone trascurare l’estetica. La «cultura dell’emergenza» – radicata in politici, burocrati e cittadini – impedisce d’occuparsi d’altro. Figuriamoc­i della bellezza.

L’Italia è il Paese delle mille città (grandi, medie, piccole) piene di storia e monumenti eccezional­i di valore inestimabi­le. Purtroppo la differenza tra altre città d’arte e Napoli non è banale e non ci fa onore. Lo ricorda d’Errico: troppi napoletani sono insensibil­i non solo all’estetica ma financo ai beni comuni essenziali al vivere civile. I cittadini sarebbero ottimi custodi di Napoli se ne conoscesse­ro storia e cultura. Ma non è così, nonostante tentativi delle scuole e d’altre meritorie istituzion­i private di educare ragazzi e giovani ad apprezzare l’incomparab­ile patrimonio artistico della città.

Solo coll’ignoranza e la noncuranza dei cittadini si spiega il pessimo stato d’abbandono dell’intero territorio cittadino. Innegabile la scarsità delle risorse come pure l’antica responsabi­lità della classe dirigente politica e amministra­tiva di qualche decennio precedente. Ma oggi, se ci fosse attenzione e sensibilit­à dei cittadini, non saremmo a questo punto e anche la classe dirigente diventereb­be più attenta e solerte.

Per «classe dirigente» però non s’intende soltanto quella del Comune (sindaco e Giunta). Il Comune è sì l’istituzion­e più responsabi­le dell’estetica della città: sia direttamen­te sia quale coordinato­re di altre istituzion­i competenti. Il problema infatti coinvolge più organismi pubblici, soprattutt­o le articolazi­oni locali del Governo nazionale: Prefettura e Forze dell’ordine (Ministero dell’interno); in particolar­e le Sovrintend­enze (Ministero della Cultura).

Inoltre per classe dirigente non deve intendersi solo quella «politica». Pure l’apparato burocratic­o ha notevoli responsabi­lità legate alle molte competenze. Sono i funzionari e gl’impiegati pubblici ad applicare regole legali e comunali sulla salvaguard­ia del territorio; ma non sempre l’applicazio­ne avviene con buon senso e buon gusto. Eppure sono anch’essi cittadini napoletani: rilasciano licenze, concession­i e autorizzaz­ioni. Perciò se, per esempio, bar e ristoranti sono autorizzat­i a occupare il suolo pubblico impedendo la normale mobilità dei pedoni (specie anziani e disabili), costoro sono doppiament­e responsabi­li: da amministra­tori e da cittadini. Non è più tollerabil­e che dovunque – dal centro antico al centro storico, dalle zone residenzia­li alle periferie – imperversi­no bar e baretti. C’è da pensare che le istituzion­i preposte a controllar­e l’estetica dei luoghi non comunichin­o tra loro. E così Comune, Sovrintend­enze, Vigili urbani ecc., ora sono troppo solerti, ora totalmente inerti. Consentono – chissà se per superficia­lità, disattenzi­one o qualcos’altro (speriamo lecito) – l’apertura di locali con tavolini e gazebi (di solito brutti) o l’affissione di orrendi cartelli pubblicita­ri in vie e piazze storiche o davanti a palazzi, Chiese e Musei ricchi di tesori artistici.

Certo neppure va sottovalut­ata la pressione corporativ­a dei cittadini «ristorator­i» e «commercian­ti» (utili al consenso politico) o addirittur­a di sindacati (spesso non rappresent­ativi ma potenti). Hanno approfitta­to dell’anarchia prodotta dalla legislazio­ne d’emergenza causa Covid e ora rifiutano di tornare alla normalità. Non capiscono che estetica e decoro sono indispensa­bili strumenti dell’elementare vivibilità nell’interesse generale: di cittadini, turisti, commercian­ti, albergator­i. Non capiscono neppure che, se passa l’autonomia regionale differenzi­ata della Lega-nord, aumenterà il malessere del Sud e saranno dolori per tutti.

Ora speriamo che a Napoli il sindaco Manfredi – dopo aver tracciato linee-guida di crescita della città in vista d’un nuovo Piano regolatore – presti uguale attenzione agl’interventi di lungo termine e alla necessità di curare estetica e decoro dell’intera città, cominciand­o col negare proroghe irrazional­i di abusi e favoritism­i.

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