Corriere del Mezzogiorno (Campania)
FORNELLI 2.0 Genovese sotto la Cenere
Nel locale di Pompei i piatti di forte impatto dello chef Giorgio. Curata la carta dei vini
Dopo un paio di anni spesi nella banchettistica, attività dignitosissima che richiede un alto tasso di professionalità in chi la svolge, ma che innegabilmente finisce per risolversi nella ripetizione di schemi prefissati, Pierpaolo Giorgio è tornato da alcuni mesi alla dimensione che, secondo me, gli è più congeniale, cioè della cucina su misura, con possibilità di variazioni sul tema non consentite a chi, per forza di cose, deve tener d’occhio soprattutto i (grandi) numeri. Approdato a «Cenere», a Pompei, ha ritrovato Valerio Coppola, suo sodale nell’esperienza breve ma intensa di «Fish Lab» a Castellammare di Stabia. Due pari grado, Valerio sovrintende con sempre maggior sicurezza al servizio, Pierpaolo in cucina, impegnato a scrollarsi di dosso le ultime scorie delle precedenti, ripetitive, esperienze. Se, come penso e auspico, il sodalizio reggerà, ne vedremo di belle. Il locale è molto carino. Nelle due salette, al livello delle strada e al piano di sotto, il riferimento al mondo romano, siamo pur sempre di fronte al Parco archeologico, è garbato, senza alcun tonfo nel pacchiano. Così la cucina è creativa, ma anche molto concreta. Gli appetizer, pur bene eseguiti, ricordano ancora la serialità delle cerimonie: cornettino salato al salmone, mini arancino, alice ripiena di provola, ricotta infornata passata nel pane panko e fritta. In tavola anche il pane, gli altri ottimi prodotti da forno, il burro di bufala di Battipaglia e un convincente olio extravergine d’oliva degli Alburni. Il lieve merluzzo con misticanza e clementine è il primo, delicato approccio alla cena vera e propria. Più decisa l’interpretazione del fish & chips: triglia in tempura di friarielli, su un letto di patate a fiammifero, un po’ troppo salate. Un difetto, quello del sale in eccesso, che non ritengo in sé particolarmente grave, ma visto che ricorrerà anche in un altro piatto, è giusto tenere a bada la mano. Gli ziti con la cenere di cipolla bianca (nella foto) rappresentano una convincente versione della Genovese, piena di carne sfilacciosa di tagli diversi, diventata un tutt’uno con la cipolla lentamente sfaldata. Il risotto con cacio, pepe, verza e nduja è un diamante grezzo che presto sarà sostituito da un’altra versione sempre con l’affidabile riso Carnaroli di Sibari. Pari, positiva valutazione per i secondi: meritano lode sia il coniglio all’ischitana aromatizzato con la piperna, sia il baccalà, ben fritto, con basica insalata di rinforzo, ultimo guizzo salato prima del trionfo dei dolci, aperto da una Santarosa calda calda e concluso dalla piccola pasticceria, vasta e correttamente realizzata. Offerta dei vini ampia, non banale, con ricarichi onesti.