Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Quando il vino fa buon conto
Non credo esistano studi o rilevazioni scientifiche sull’argomento. Ma il tema del rapporto tra l’incidenza media del vino nel conto dei ristoranti si impone come urgente. Soprattutto sarebbe interessante il raffronto tra l’incidenza attuale e quella di 5, 10 e 20 anni fa. D’accordo, individuare un dato credibile medio non è facile, perché il rapporto tra quanto si spende per il cibo e quanto per il vino può variare molto in funzione di fattori molto diversi. C’è infatti da considerare innanzitutto un dato di fatto: per quanto possa incidere il contesto, il costo di un pasto, bevande escluse, non potrà mai superare determinati limiti.
Ipotizziamo un massimo di 300-350 euro a persona in un locale che può fregiarsi di 3 stelle Michelin. Il vino invece può far lievitare il conto finale all’inverosimile. Se ci si accosta a determinate etichette rare e di particolare pregio, la suddetta cifra pro capite, infatti, si può anche decuplicare. Bottiglie di Petrus (il mitico Merlot di Pomerol, non l’omonimo amaro) sono servite regolarmente ai facoltosi ospiti prevalentemente stranieri che si accomodano ai tavoli dei ristoranti più modaioli ed esclusivi di Capri, Positano e Amalfi. Ma il segmento del lusso, spesso caratterizzato da fenomeni anticiclici, non può essere assunto come riferimento per spiegare una tendenza molto più diffusa. Come ho ricordato, purtroppo, non esistono statistiche su cui basarsi. O meglio, se esistono io non le conosco (e se qualcuno le avesse gli sarei oltremodo grato se me le girasse).
Non resta che fare riferimento ad una rappresentazione della realtà basata esclusivamente sull’esperienza. La mia si basa sull’assidua frequentazione di ristoranti, sia per ragioni professionali che per piacere personale. Ebbene, se vado a paragonare alcune carte dei vini del periodo precedente la pandemia con quelle attuali, riscontro un aumento del prezzo medio davvero imbarazzante. Mi riferisco a locali medi, nei quali per un pasto completo si spendono dai 50 ai 70 euro. In ristoranti del genere, riuscire a scegliere una bottiglia di qualità apprezzabile a meno di 25 euro risulta impresa non facile.
Certamente sulla lievitazione dei prezzi al consumatore hanno inciso molto anche i prezzi di partenza: gli stessi produttori che durante la pandemia hanno praticato politiche di svendita pur di metter fuori le loro bottiglie, passata l’emergenza, non hanno esitato (dimostrando anche una certa propensione all’azzardo che in alcuni casi ha pagato) a ritoccare all’insù i listini, anche del 20-30%. Ma è probabile che nel passaggio successivo si siano registrati aumenti ancora più significativi.
Ho già ricordato proprio nell’editoriale di un altro speciale che mentre fino a prima della pandemia il ricarico del 100 per cento rispetto al prezzo di acquisto era considerato accettabile (almeno per la stragrande maggioranza delle bottiglie, definibili normali) ora ci si allarga senza problemi fino al 200 e pure oltre. Per il momento il sistema pare reggere. Ma non so se a lungo andare gli aumenti abnormi non determineranno la contrazione dei consumi. Almeno nei locali pubblici.
Ormai nella cultura di massa è ben salda la convinzione che nell’ambito di un pasto importante il vino abbia un ruolo fondamentale. Ma non è affatto pacifico che si accetti di pagare per una bottiglia prezzi che non si reggono. Magari a quella determinata bottiglia non si rinuncerà. Ma si preferirà stapparla a casa: stessa soddisfazione, a metà prezzo.
In principio c’erano gli alquanto opinabili cigni di stagnola ma ora, con packaging spesso green e una più ampia consapevolezza dell’importanza di non buttare il cibo, sono sempre di più i ristoratori che si stanno preparando alla possibile “obbligatorietà” per legge della doggy bag. D’altra parte, come ricorda Sal De Riso fa parte anche un po’ della nostra tradizione culinaria, il “non sprecare” e che il noto pasticciere applica nel suo “Sal De Riso Ristorante & Bistrot” di Minori . «Pensate agli avanzi del pranzo della domenica. Da sempre siamo abituati a conservarli per mangiarli la sera o il giorno dopo. Il concept deve essere più o meno quello. Così come la torta, a volte aperta per gola e poi portata a casa. O ancor di più quando ci sono bambini a tavola, che solitamente ordinano più di quel che mangiano, specialmente la pizza».
D’altronde c’è chi come Roberto Biscardi di Ostaria Pignatelli, badando alla tradizione immagina usi “alternativi”: «Pensate a chi porta a casa dei friarielli e magari con del formaggio il giorno dopo fa un panino da portarsi in ufficio per fare invidia ai colleghi. Stesso si può dire per le polpette. La verità è che la nostra cucina è naturalmente