Corriere del Mezzogiorno (Campania)

«Mare Fuori»

- Di Paola Maddaluno

Gli assistenti, lo staff, «gli angeli custodi di un autore» si impegnano affinché «ogni vestito, ogni camicia, ogni giacca riceva la sua dignità» (per servirci delle parole di Wim Wenders in Appunti di viaggio su moda e città). Talvolta, la passerella può farsi anche spazio politico, dove gli abiti si fanno portavoce di riflession­i, di polemiche, di denunce.

Domenica scorsa, su queste pagine, Mariarosar­ia

Marchesano, ha osservato: «Come potevano mancare gli attori di Mare Fuori alla settimana della moda (…). Ma quanto business. (…) Solo che fa una certa impression­e vedere (…) protagonis­ti di una serie ambientata in un carcere minorile di Napoli, come se fossero dei “chiattilli” qualsiasi». È davvero così?

Nel 1984, presso l’Università di Parma (Centro studi e Archivio della Comunicazi­one), si tenne un convegno intitolato “Moda, Media, Storia” a cura di Arturo Carlo Quintavall­e, introdotto da Maurizio Calvesi. Due giorni in cui figure di estrazione diversa (tra gli altri, Giovanni Anceschi, Alessandro Mendini, Franco Moschino, Gillo Dorfles, Beppe Modenese,

Omar Calabrese, Tai e Rosita Missoni) si interrogar­ono sul rapporto tra la moda e i diversi linguaggi. In particolar­e, si soffermaro­no sulle connession­i tra moda e cinema, tra moda e television­e, tra moda e spettacolo. Provando a delineare le strategie attraverso le quali la moda viene presentata al pubblico, e insieme, diffonde la propria immagine.

Nell’assecondar­e le oscillazio­ni del gusto, essa si pone come prolungame­nto di ciò che succede intorno a noi, alla ricerca di un ampio e nuovo consenso. Da questo vivace confronto emerse una posizione critica chiara: «È la moda che costruisce la realtà delle dimensioni entro cui viviamo, è la moda che sugoppure, gerisce il rapporto interperso­nale ed è la moda che impone la psicologia del singolo personaggi­o attraverso gli usi di precisi costumi, abiti,

Marketing, moda e «Mare Fuori», l’articolo comparso domenica scorsa su questo giornale se preferiamo, travestime­nto», dichiara Quintavall­e.

Siamo sicuri che essere coinvolti alle sfilate sia solo un’operazione di business o di marketing, che indebolisc­e il messaggio sociale di Mare Fuori e il senso stesso della serie? E gli attori sono solo “chiattilli” ben vestiti? E ancora: perché confondere alcuni giovani attori con i ruoli che si trovano a interpreta­re? Perché porre in antitesi la moda e i mass media? Perché sovrapporr­e identità e maschera?

Da una parte, essere testimonia­l (come persona) di alcuni brand è solo un segnale di una sana e antica collaboraz­ione tra due codici contempora­nei (come il cinema e la moda) che, da sempre, dialogano per rafforzars­i a vicenda generando capolavori cinematogr­afici e icone di stile senza tempo.

Dall’altra parte, invece, è testimonia­nza di altro. In filigrana, un ulteriore messaggio sociale. Rimanda al bisogno di Carmine, di Rosa, di Silvia, di Edoardo, di Filippo di uscire dal buio delle sbarre, di andare fuori, di rinascere, di credere ancora in un domani. In fondo, la moda è anche questo: può offrire un’opportunit­à di riscatto; può aiutare i «ragazzi fuori» a riparare quella «bussola rotta senza direzioni» (come cantano Crazy j e Cardiotrap) per traghettar­e verso un nuovo orizzonte, un nuovo mare.

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