Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Diciassette alloggi gestiti dai clan Denunce e sfratti nel Rione Amicizia
Il prefetto a Caivano da don Patriciello per le proteste anti sgombero
Stava per andare in aula per la prima udienza sull’omicidio per la morte del giovane pizzaiolo Francesco Pio Maimone, in cui è imputata per favoreggiamento e detenzione d’arma, ma ha trovato comunque il tempo di postare sette video su TikTok.
In uno dei video la colonna sonora è inequivocabile: «Come si dice, l’avvocato è come il confessore. E io non mi confesso» e poi parte il riff rap «mafia, mafia».
Giuseppina Valda ha 23 anni ed è la sorella di Francesco Pio Valda, accusato di essere il responsabile della morte di Francesco Pio Maimone. In udienza Giuseppina, che è ai domiciliari, c’era e indossava gli stessi abiti che si possono notare in quei video che inneggiano al «rispetto». In un altro si sente la frase «Hasta la victoria, siempre», e poi simboli tipici sotto forma di emoticon, come il cuore accostato a due catene, una clessidra che simboleggia l’attesa e una siringa che rappresenta il legame di sangue che supera qualunque ostacolo.
Quella di ieri è stata la prima udienza del procedimento a carico del 20enne ritenuto responsabile di aver fatto fuoco tra la folla degli Chalet di Mergellina nella notte tra il 19 e il 20 marzo dello scorso anno.
Una lite per una scarpa Louis Vuitton che venne macchiata da una bibita versata. Da quel momento la discussione tra due gruppi degenerò, finché non spuntò una pistola. A farne le spese fu l’innocente Francesco Pio Maimone, di soli 19 anni, centrato da un proiettile al cuore mentre era insieme ad alcuni amici. Ebbe solo il tempo di chiamare l’amico Carlo che era accanto a lui, poi si accasciò con le mani al petto. Sia le scarpe da mille euro che l’arma che ha causato la morte di Maimone non sono state mai ritrovate.
All’udienza Valda era presente in teleconferenza. Davanti alla prima sezione della Corte di Appello di Napoli si sono costituiti parte civile il Comune di Napoli, la fondazione carabinieri, dalla Squadra Mobile, dalla guardia di finanza e dalla sezione tutela patrimonio della polizia locale. Sono stati proprio gli uomini della Municipale, nel tempo, a verificare che i reali assegnatari degli alloggi, di fatto, non vivevano lì. Alcuni risultavano deceduti, altri trasferiti.
Le indagini condotte hanno rivelato che gli immobili, di proprietà dell’Agenzia campana per l’edilizia residenziale (Acer), erano stati illegalmente occupati da anni e che quella zona, l’isolato 12, costituito complessivamente da 24 abitazioni, è per gli inquirenti la roccaforte della famiglia malavitosa dei Bosti che aveva occupato ben quattro appartamenti.
Indagata anche una parente di Salvatore Botta, uno dei luogotenenti del clan attualmente in carcere. Botta era specializzato nelle estorsioni e molte delle riunioni tra gli estorti e gli uomini del clan si sarebbero tenute presso il vicino Polis e la famiglia del giovane assassinato. Il collegio difensivo dei sette imputati (per l’ottavo si sta procedendo con rito abbreviato) ha sollevato un’eccezione preliminare riguardante la mancata risposta da parte dell’autorità giudiziaria relativamente alle richieste di un processo con il rito alternativo. Alla sbarra ci sono alcuni familiari di Valda; oltre alla sorella, la nonna Giuseppina Niglio ed alcuni amici. Lo scorso dicembre a Valda è stato contestato anche un altro reato, quello di «accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione», per avere pubblicato su TikTok un video mentre era in carcere con altri due detenuti. Insieme ai l’ospedale San Giovanni Bosco, sempre al cospetto di Botta. Il sodalizio aveva messo le mani anche negli appalti all’interno dell’ospedale, affare che avrebbe permesso di assumere personale scelto direttamente dall’organizzazione criminale. Secondo quanto emerso, nella maggioranza delle abitazioni sequestrate sono stati riscontrati abusi edilizi: dai terrazzi, alle aree giardino recintante e circondate da cancelli. Fino a varie invasioni delle sedi stradali. In alcuni casi le irregolarità rilevate hanno portato, negli anni, a qualche abbattimento, ma le strutture sono state subito ricostruite. Il decreto di sequestro emesso ora offre agli occupanti abusivi un termine di 30 giorni per abbandonare gli immobili. Trascorso questo periodo, le autorità saranno pronte ad avviare le procedure per eventuali sgomberi forzati. Proprio su questo tema, il prefetto di Napoli Michele Di Bari si è recato ieri a Caivano, presso la parrocchia di San Paolo Apostolo all’esterno del Parco Verde, dove ha incontrato don Maurizio Patriciello per discutere proprio della questione dello sgombero delle 250 abitazioni comunali di Parco Verde occupate abusivamente.