Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Toni Servillo «Partire o tornare? Io resto»
Con Giuseppe Montesano, condivido la particolare condizione di provinciale
«Andare via fu giusto? e ora è giusto tornare?». Se lo chiede Giordano Fonte, alter ego di Ermanno Rea, in Napoli Ferrovia, romanzo-inchiesta pubblicato nel 2007, ora sugli schermi con il titolo di Caracas, per la regia di Marco D’Amore, con Toni Servillo nei panni del protagonista.
Lo stesso Ermanno Rea aveva lasciato Napoli, come tanti altri intellettuali prima di lui, a partire da Raffaele La Capria. Scrittori, drammaturghi, artisti in fuga, che poi non hanno mai risolto il rapporto con la città, tra struggimento e disamore, nostalgia e disillusione. Nell’atmosfera onirica del film di D’Amore, Servillo incarna con maestria lo spaesamento di un grande scrittore, cinico e tormentato, alle prese una Napoli oscura e meticcia.
Servillo, al centro del libro e del film c’è il tema del ritorno. Lo sente anche lei?
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«In realtà io non me ne sono mai andato. Però c’è un gran numero di artisti, scrittori, intellettuali che sono andati via. Magari cercando nella lontananza la giusta distanza da una città che sovrabbonda di argomenti. Argomenti che possono frastornare. Altri sono andati via magari perché si sono sentiti trattati male dalla città e altri ancora per voglia di evadere, che non biasimo, dall’autoreferenzialità dei napoletani».
Un altro annoso problema...
«Fa parte del carattere di noi meridionali, anche i siciliani lo manifestano, magari declinandolo su base più drammatica».
Torniamo a lei: ha scelto di restare, a differenza di Rea.
«Sì, e curiosamente ho trovato una feconda collaborazione con un altro scrittore che ha scelto di non andare via e vive nel Casertano come me. Parlo di Giuseppe Montesano, con il quale condivido la condizione particolare del provinciale che con la metropoli ha un rapporto prima immersivo e poi di fuga. Per quanto riguarda Ermanno Rea, il tema del ritorno è costante nei suoi libri, penso anche a Mistero napoletano .In Napoli Ferrovia costruisce un grande libro che mescola diversi tipi di linguaggio, dal saggio all’inchiesta. C’è anche un omaggio a un altro straordinario scrittore, Luigi Incoronato, e al suo capolavoro Scala a San Potito, che andrebbe riscoperto, anche perché non fa sconti, proprio come Rea».
Chi altro c’è nella sua personale costellazione di scrit
tori napoletani da non dimenticare?
«Di sicuro Carlo Bernari. Come gli altri che abbiamo citato, utilizza una grande varietà di scritture, in questo è molto moderno anche lui».
La letteratura napoletana dal dopoguerra in poi racconta ancora con efficacia la città?
«Beh, alcuni sono ormai dei classici e in quanto tali ci si ritorna sempre con interesse. Penso a testi come la Morte della bellezza di Patroni Griffi, l’Armonia perduta di La Ca