Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La «casata» Ferragnez
Int ’o rione
Stiamo parlando del caso del Principe Federico e della Principessa Chiara della casata dei Ferragnez, casata non di nobile lignaggio, ma molto influente nella società italiana dell’epoca. Allora non si riuscì a cogliere il reale significato di quanto accadde. Grazie all’avvento dei social network l’ascesa dei Ferragnez fu fulminante, così come lo fu la loro caduta. In poco tempo i due salirono al trono di un impero mediatico e commerciale capace di condizionare opinioni e tendenze di milioni di sudditi telematici, o follower, come si chiamavano all’epoca. I social influencer, o web influencer, consolidavano il loro potere trasformando le loro vite in oggetto di mercificazione, brandizzando di fatto il loro privato attraverso la pubblicazione di reel o post dove mettevano in vetrina frammenti delle loro vite accanto ai prodotti sponsorizzati. I nuovi regnanti finivano essi stessi però nella
morsa delle logiche del consumismo.
Una volta venuto a mancare il confine etico tra soggetto e oggetto, divenivano infatti, merce. I Ferragnez furono tra i primi a pagare il prezzo di quella furia volitiva che ha caratterizzato la fine del XX e gli inizi del XXI secolo. Il modello di riferimento dell’epoca era la società del consumo, basata su logiche asimmetriche di sfruttamento delle risorse che tendevano a soddisfare il bisogno di appagamento (indotto) dei cittadini di una manciata di Stati dominanti. Furono queste le cause del disastro imminente, e i Ferragnez, consapevoli o no, ne erano parte.
Il popolo che li sosteneva era costituito in larga parte da una massa indistinta spesso incolta che veniva incoraggiata a persistere in uno status
sociale disfunzionale. Il mantra di riferimento era: avere per essere. Stimoli che sollecitavano una visione egoistica della società umana e una continua tensione dove il prossimo si trasformava inevitabilmente in un competitor.
America first, prima gli italiani, aiutiamoli a casa loro, erano i claims della politica di quei tempi. Il destino dei Ferragnez, se non si corresse il rischio di cadere in una maldestra forzatura, potrebbe essere paragonato a quello dei leader dei sistemi totalitari, che non a caso in quel periodo tornarono in auge. Osannati al principio come modelli da seguire per poi finire sulla gogna, mediatica per ciò che riguardava gli imperi virtuali, fisica per quanto concerneva i politici. Vittime delle loro stesse creazioni, cannibalizzati
e consumati da un popolo di follower emotivamente instabile e potenzialmente frustrato, accecato da una visione esclusiva dell’esistenza dietro la quale si celava il più delle volte uno scopo persuasivo piuttosto che evolutivo, quantitativo e non qualitativo.
Tutto questo a noi oggi sembra aberrante, in qualche modo anche primitivo, eppure se quelle società furono attraversate da continui e sanguinosi conflitti fu anche perché quei popoli non avevano ancora maturato le capacità empatiche che oggi noi promuoviamo, basate su un concetto di identità inclusivo, e dove il soggetto è parte di una dimensione universale interdipendente con l’ecosistema in cui vive e prospera.