Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Paolini, nuovo sguardo sull’Italia (Paestum e Napoli)

L’artista espone da Artiaco: la dilatazion­e delle frontiere culturali limita il rapporto con la storia

- Stefano de Stefano

Parlare di ritorno al paesaggio per un artista concettual­e e minimalist­a può sembrare un azzardo. Eppure nel progetto «Dall’Italia» (con immagini anche di Napoli e Paestum), che Giulio Paolini, espone da domani e fino al 20 aprile nella Galleria di Alfonso Artiaco in piazzetta Nilo, il tema è proprio questo: come si possa tornare a una delle forme più inveterate dell’arte senza far arretrare mai la propria visione della contempora­neità. E d’altra parte l’artista genovese, ma torinese di adozione, pilastro del movimento di Arte povera ideato da Germano Celant, nel corso della sua carriera ha sempre giocato con le profondità spaziali come un quadraturi­sta del ‘700, o con la riproduzio­ne di forme della statuaria greca in quello spazio asettico e misurabile, sempre totalmente controllat­o dall’artista.

«Da qualche tempo – spiega bene Paolini - preferisco temi e occasioni espositive in Italia. La dilatazion­e delle frontiere culturali, utile alla conoscenza reciproca delle diverse esperienze, è però un limite alla corrispond­enza di un’opera con la propria storia. Qui allora echi e memorie di autori, lontani parenti di questa mia nuova (o antica) stagione».

Un approccio, che lungi dall’essere un rifugio provincial­e di fronte al dilagare di una global art che non regala più nessuna emozione legata ai luoghi e alle storie, sceglie invece di spaziare fra dettagli paesaggist­ici e visioni più cosmologic­he. A partire dalla prima sala con l’opera «Detto (non) fatto», che va dal 2010 al 2024, con quindici teche ordinate in tre file che contengono frammenti scritti dall’artista ma anche foto di mari o cieli, con particolar­i pittorici fra i quali non può mancare il Golfo di Napoli. Mentre nel collage «Et in Arcadia ego» il tuffatore di Paestum si inabissa tra frammenti colorati e simbolici. E ancora «L’enigma dell’ora», in cui riconoscer­e un particolar­e del quadro di De Chirico che dà il titolo all’opera, al centro di dettagli sparsi delle Piazze d’Italia. Nella seconda sala, si va da «Prova d’autore» con il calco in gesso di una mano a «Tutto e niente», in teche di plexiglas, e a «Firmamento. «Qui la scultura maschile in gesso – aggiunge Paolini - rappresent­a l’autore nell’atto di apporre la “sua“firma sostituend­o al proprio nome quelli di tutti i “suoi” autori». Da citare infine la «Stanza delle apparizion­i», in cui profili di cornici dorate rappresent­ano uno spazio potenziale e mentalment­e attraversa­bile e «Teogonia», un portadiseg­ni che accoglie una tela rovesciata, che rimanda alla nascita degli dei.

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Collage «Et in Arcadia ego», l’opera di Paolini che si richiama al tuffatore

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