Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Sul Web c’è di tutto Ora servono controlli Dobbiamo opporci a questa narrazione»
dice: «Presidente di che mi devo pentire? Del mio credo?!». Anche per questo video i commenti sono tutti dello stesso tenore: «Onore al più grande», «pentiti infami».
TikTok non si ferma a Cutolo, trovano spazio nel pantheon della social camorra anche gli anti-cutoliani. È virale la figura di Carmine Giuliano, detto «’O Lione». Oggi la figlia Nunzia ha creato una fragranza con il soprannome criminale del padre, che vende sui social pubblicizzandola ricordando «’O Lione» ed esaltando la sua «omertà».
C’è anche il boss ragazzino Emanuele Sibillo ammazzato a Forcella, con il suo hashtag: #ES17. Il marcatore digitale raccoglie video, audio, foto e profili che trasformano il boss della paranza dei bambini in eroe moderno.
Cutolo, ‘O Lione, ES17, sono immagini potenti che riescono a raccogliere follower, ad indirizzare il flusso di dati e delle visualizzazioni e servono a vendere idee, stili di vite e beni. I boss diventano brand e hanno un loro mercato.
Spopolano i prodotti che vengono venduti utilizzando la stessa narrazione criminale. Ci sono «gli occhiali da sole di Scampia, i più criminali di sempre» con tanto di stanghette con il Cristo velato e la pistola, pubblicizzati così su TikTok da un negozio catanese. I mobili neobarocchi, mostrati sulle piattaforme come «i veri mobili criminali, quelli di Gomorra». Il barbiere che fa «la barba camorra», il «capello stile Messina Denaro, Gomorra o Mare Fuori». Per arrivare ai negozi di abbigliamento napoletani che pubblicizzano la loro linea #MDM dalle iniziali del boss Matteo Messina Denaro.
La camorra con i social è diventata un brand commerciale, un «marchio di qualità». Affascina e coinvolge i più giovani e conquista spazio virtuale su quelle piattaforme dove i suoi messaggi criminali non incontrano né censura, né opposizione.
Antonino Salvia si è «allarmato» per i contenuti social che esaltano Raffaele Cutolo, il defunto boss della Nco che è stato il mandate dell’omicidio del padre Giuseppe. Sono vent’anni che Antonino si occupa di portare la cultura della responsabilità all’interno delle scuole, parlando con gli studenti e provando a costruire insieme l’idea di Stato. A loro racconta la storia di suo padre. Giuseppe Salvia il 14 aprile del 1981 fu raggiunto da un commando della Nco sulla tangenziale di Napoli all’altezza dell’uscita Arenella e freddato mentre era alla guida della sua automobile. Raffaele Cutolo aveva deciso di eliminarlo perché, come vicedirettore del carcere di Poggioreale, Salvia aveva rifiutato di assicurargli un trattamento di riguardo e in una occasione l’aveva «addirittura» perquisito.
Dottore Salvia, come ha reagito nel vedere i video che esaltano Cutolo in cui si nomina suo padre?
«Mi sono allarmato, sta passando una cultura criminale che rischia di attrarre tanti ragazzi».
Anche grazie ai social?
«Oggi può passare qualsiasi messaggio, non serve una qualifica di ciò che viene comunicato, è tutto basato sui follower. Servirebbe maggiore controllo».
Come?
«Un’autorità. I messaggi criminali generano un pericoloso consenso soprattutto nei giovani che, non conoscendo cosa è stata e cos’è la camorra, possono convincersi che la mentalità camorristica sia vincente».
Non c’è controllo?
«Ci si affida ad un’intelligenza artificiale, ad un algoritmo. Per assurdo si possono pubblicare contenuti che esaltano Cutolo e la piattaforma li fa diventare anche virali. In più su questi messaggi si potrebbero anche integrare gli estremi di apologia di reato se non di istigazione».
Serve un lavoro culturale?
«Certo. La colpa di tutto questo ricade necessariamente sulla “comunità educante”».
In che senso?
«Gli attori istituzionali impegnati nella crescita culturale delle nuove generazioni: famiglia, scuola, istituzioni e contesto sociale hanno una responsabilità importante. I ragazzi sono lo specchio della società ed evidentemente non siamo ancora riusciti ad offrire loro, in maniera efficace, un riferimento culturale valido ed alternativo rispetto alla seduttività del male e della legge del più forte».
Serve una nuova narrazione per contrastare la camorra?
«Sì ma purtroppo in questo siamo perdenti. Non riusciamo ad utilizzare la stessa tecnica seducente dei criminali. La fascinazione che crea il male fa molta più presa rispetto a narrare la storia di un servitore dello Stato che ha sacrificato consapevolmente la propria vita per contrastare il malaffare e la politica corrotta».
Perché?
«Ci manca la capacità seduttiva di registi e sceneggiatori che hanno fatto serie di grandissimo successo come Gomorra o Mare Fuori. Serve un correttivo narrativo fatto però con tecniche di oggi per parlare ai ragazzi».
Cosa direbbe ad un giovane che esalta Cutolo sui social?
«Non hai idea di cosa è stata e di cos’è la camorra. Se studi cosa ha fatto Cutolo scoprirai che la camorra è una mentalità culturale che conduce solo a due cose: il carcere o la morte. Gli direi che la legge del più forte non porta a nulla e solo nel rispetto delle regole si può essere davvero liberi di costruire una società più giusta».
Commenti entusiastici per il boss a un video dove si parla dell’omicidio del vicedirettore di Poggioreale, Giuseppe Salvia, di cui fu il mandante
Gli altri Sono diventati modelli anche boss come Carmine Giuliano o Emanuele Sibillo
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A coloro che esaltano il boss direi che i clan portano solo al carcere o alla morte C’è bisogno di convincere i ragazzi parlando il loro linguaggio
Crede che ci sia indifferenza sui social sul tema camorra?
«Purtroppo sì. O sei contro la camorra esplicitamente o sei complice».
Nessuna via di mezzo?
«No. È proprio in quella linea grigia che una parte della politica ha trovato il contatto con la camorra. Cutolo ha rappresentato anche un ingranaggio di un sistema deviato dello Stato più ampio che, prima della trattativa Stato-mafia, aveva già intessuto rapporti con le istituzioni».
Una storia dimenticata?
«Apparati deviati dello Stato andarono in carcere da Cutuolo nell’aprile del 1981, pochi giorni dopo l’omicidio di mio padre, per trattare la liberazione dell’esponente democristiano Ciro Cirillo, rapito dalle Brigate Rosse. Lo dicono le sentenze, non io. Ci sono anche i video, quelli però, purtroppo, non sono virali sui social».