Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il Mediterran­eo nelle voci potenti dei fratelli Mancuso

- Di Goffredo Fofi

Capita di tanto in tanto di riascoltar­e alla radio le due potenti e preziose voci virili dei fratelli Mancuso, Enzo e Lorenzo, nati in anni diversi del decennio 1950 a Sutera, in provincia di Caltanisse­tta, ed emigrati in gioventù in Inghilterr­a come operai di fabbrica, e partiti da lì con una seconda carriera diventata una prima vita, quella di musicisti che recuperano canti di tradizione o ne inventano e scrivono, con feconda passione e col massimo rispetto per una grande tradizione.

È difficile, credo, distinguer­e quanto essi hanno recuperato dal folklore siciliano (ma poi anche spagnolo, poiché, dopo la Sicilia, è lì che hanno per un certo tempo piantato le tende, attirati da quella grande storia musicale, popolare) e più in generale dal folklore mediterran­eo ma non solo da quello, e quanto hanno essi stessi creato, inventato e reinventat­o.

Alla radio (a Radio3, nel canale dedito alla musica classica che fa compagnia a tanti di noi nel tempo passato in casa) vengono di solito riproposte le esecuzioni di un fortunato concerto che essi hanno tenuto nella Cappella Palatina del Quirinale molti anni fa, come se dopo di allora i due fratelli non avessero continuato a comporre o recuperare, e ad eseguire, altra musica che quella, pur perfetta, evocativa e trascinant­e, di brani che in origine, nelle loro esibizioni, erano da loro presentati e commentati, ri-collocati, se si può dire, nel tempo e nello spazio…

È già da più decenni che i due fratelli hanno eletto a loro patria Città della Pieve, in Umbria, lavorando peraltro in alcune scuole della zona grazie all’attenzione di assessori non inerti. Hanno legato più di una volta il loro nome alla colonna sonora di qualche film non solo italiano e a diversi spettacoli teatrali, in particolar­e con la palermitan­a Emma Dante e con la romagnola Ermanna Montanari del gruppo delle Albe.

Non è difficile ricuperare le loro incisioni discografi­che, ma altro è vederli in scena, con i loro strumenti e la loro rude grazia d’altri tempi e d’altra cultura, quella da cui la più parte degli italiani proviene, ma cercando essi il confronto e l’ausilio di altre tradizioni, con altre culture. Se meritano l’attenzione e il rispetto (e in molti l’affetto) di cui sono oggetto è anche perché le loro radici sono anche quelle di tanto Mediterran­eo, e dunque di tanta Italia. E sarebbe da augurarsi un loro confronto con quella parte della tradizione campana e napoletana più «rustica» e antica, più spontanea e immediata, che è quella stessa che incantò tra gli altri il giovane Mozart.

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