Corriere del Mezzogiorno (Campania)

I treni che restano

- Di Roberto Calise

Toscana e Lazio hanno mantenuto stabili i livelli di offerta, Emilia Romagna e Veneto li hanno leggerment­e migliorati a fronte di un peggiorame­nto del Piemonte. Certo, tutte le regioni hanno visto un crollo di passeggeri nel periodo del Covid, dal quale non ci si è del tutto ripresi. Tuttavia, il confronto con la Campania dal 2009 a oggi è impression­ante, essendo la realtà che ha perso più passeggeri: da circa 400.000 utenti a poco sopra la metà. Cosa ci dice questo paragone? Pur sapendo che si tratta di territori con capacità di spesa assai diversa, è una questione di visione: si fa fatica a capire quale sia quella in Campania. I recentemen­te annunciati nuovi treni sulle linee flegree e la necessaria ristruttur­azione del terminal di Montesanto rafforzano i già ingenti investimen­ti sulla rete regionale, e questo è certamente un bene. Resta però un tema di modello gestionale: per lungo tempo si è parlato di azienda unica, poi di gare fra le perplessit­à dei sindacati, ora chissà. Nel mentre, il mondo attorno è cambiato: la questione dell’autonomia differenzi­ata mette a serio rischio la tenuta del Sud, anche sui trasporti pubblici già sottofinan­ziati in termini di spesa corrente. Si rischia un peggiorame­nto ulteriore dei servizi in contesti già molto difficili come la provincia di Napoli, che presenta il Pil pro capite più basso d’Italia dopo Calabria e Sicilia. Ciò significa povertà culturale e sociale: riprova sono i numerosi attacchi ai mezzi pubblici dell’ultimo periodo, fra cui i sabotaggi ai passaggi a livello con oggetti lasciati sui binari che ricorda come sia importante chiuderli (promemoria soprattutt­o per l’impasse di Castellamm­are). Una situazione che, assieme ad altri fenomeni di malaffare come le stese, hanno portato il Presidente della Corte d’Appello di Napoli, Eugenio Forgillo, a paragonare la città alla violenza del Sud America. Accostamen­to molto criticato in primis dal Procurator­e della Repubblica, Nicola Gratteri. Tuttavia, a certe realtà del Sud America si dovrebbe guardare non tanto per parallelis­mi con la criminalit­à, ma per la mobilità erogata in contesti difficilis­simi (Medellín su tutte). Luoghi in cui si ha avuto il coraggio di pensare in modo diverso. Invece, quel che più colpisce nei rapporti di Legambient­e è come questi, anno dopo anno, si somiglino. Lo dice la stessa associazio­ne ambientali­sta in premessa: «Pendolaria 2024 fotografa una situazione statica del trasporto ferroviari­o in Italia». Viene dunque da pensare che sia il modello di gestione della mobilità a non funzionare, in Campania come altrove. Unico campo in cui dei lavoratori scioperano a scapito di altri lavoratori (copyright Marco Percoco, Università Bocconi), è un settore strettamen­te connesso alla politica in cui acriticame­nte si continuano a perpetuare le stesse logiche. Di recente, l’Autorità per la Concorrenz­a (Agcm) si è schierata contro l’assegnazio­ne diretta ad Atac dei servizi di Roma. È un cambio di prospettiv­a, una crepa nella diga del legame politica-sindacati-aziende di trasporto: spezzarlo è forse l’unico modo per non leggere ogni anno l’ennesimo, identico Pendolaria.

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