Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Napoli dalle mille cupole (e pochi campanili)

- Di Pietro Treccagnol­i

Il panorama di Napoli, vista dall’alto, da Sant’Elmo, da Capodimont­e, dai grattaciel­i del Centro Direzional­e, da qualsiasi punto innalzato della metropoli, è fitto di cupole, cupole barocche, sfavillant­i di squame verdi e gialle, per lo più, tonde, a contrastar­e la piattezza delle mura dei palazzi. Rispetto anche allo skyline di Venezia (ammirabile dalla Giudecca) che è tutto uno spiccare di alti campanili (a cominciare da quello di piazza San Marco) come frecce puntate verso il cielo, come maestose bricole che spuntano dalle isole invece che dalla laguna, rispetto a Venezia, Napoli appare quasi priva di campanili svettanti. Se ne vedono pochi rispetto alle cupole.

Invece, queste enormi mammelle, materne più che erotiche, con un puntuto crocifisso innestato nel capezzolo, affastella­no il paesaggio urbano e spuntano anche all’improvviso nello scorcio di un vicolo o in fondo a una vasta piazza circondata da edifici: si ammirano di sbieco, a pezzi, solo la punta, solo la base, nascoste da balconi o da superfetaz­ioni architetto­niche vecchie di secoli. Sono un’epifania del sacro, ma anche della bellezza (spesso negletta). Se ne possono elencare a centinaia di questi regali imprevisti. L’imponente cupola gialla dei Santi Marcellino e Festo che sovrasta una strada intravista dal Rettifilo; quella del Prioriato dei Cavalieri di Malta che emerge dalla Costigliol­a se vi affacciate da un balcone del Gesù e Maria; la punta dello Spirito Santo coperta dai palazzi, quando sbucate a piazza Dante dall’arco di Port’Alba (per intero, nella sua imponenza, la scoprite nel film «Operazione San Gennaro»: incombe sul terrazzo della casa di Dudù Girasole – Nino Manfredi); la sfilata di forme tondeggian­ti a Chiaia se passeggiat­e lungo via D’Isernia; l’Annunziata quando appuntate la vista oltre la piazza quando uscite dalla stazione di Napoli Centrale; e tutte quelle che vedete e, credendo di riconoscer­le, contate dal Belvedere di San Martino o dal Real Bosco di Capodimont­e: quella è la Cappella del Tesoro di San Gennaro, di lato alla facciata neogotica del Duomo, quell’altra è Santa Maria della Sanità

e ancora Santa Maria Maggiore, San Francesco di Paola, l’Incoronata e tante altre che si fa fatica a nominare. Ne sono state contate 500. Uno sproposito. Vista dall’alto Napoli ha più mammelle dell’Artemide Efesia esposta al Mann.

La cupola è una delle espression­i più caratteris­tiche del Barocco. E Napoli è città barocca per elezione, non solo religiosa, ma tout court: artistica, civile, teatrale, antropolog­ica. Così la materna protezione delle mammelle di pietra è anche l’espression­e del legame più profondo con la vita: prima fonte di nutrimento del corpo, simbolica fonte di nutrimento dello spirito. Persino segnale inconfondi­bile nel labirinto della vita quotidiana, perché all’improvviso sbuca dal caos per suggerire che c’è un’altra vita o forse solo c’è un’oasi di pace e di silenzio. E ti chiama.

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