Corriere del Mezzogiorno (Campania)

La «Venere» 60 anni dopo per i turisti

Il sindaco Se avremo la possibilit­à di salvare una parte del murale, lo faremo È simbolo identitari­o

- Di Eduardo Cicelyn

La Venere risorta dalle ceneri di nuovo in pompa magna è solo una fantasia horror dell’artista da vecchio? O c’entra anche il sindaco? Non si può escludere che entrambi siano colpevoli: l’autore-attore e il sindaco-committent­e.

Michelange­lo Pistoletto in testa, poiché del film in cui si materializ­za un ricordo infantile nel contesto sbagliato e in dimensioni fuori misura è lui in persona il protagonis­ta indiscusso in piazza Municipio. In seconda battuta Gaetano Manfredi che ne paga una e ne prende due e che ora però deve affidarsi ai preti per acchiappar­e e rinchiuder­e il fantasma dell’opera d’arte contempora­nea. Perché proprio di questo si tratta nella piazza napoletana: di una seduta spiritica e della riapparizi­one del corpo dell’arte in un simulacro multicolor­e di idee fumose per una platea di creduloni. Dopo il rogo, il falò delle vanità artistiche e politiche. Sui danni culturali che ne conseguono purtroppo nessuno pare abbia voglia di ragionare. Finito il secolo in cui l’arte è scesa dal cavalletto sfondando le pareti del salotto borghese e la vita reale ha infranto tutte le finzioni del mondo rappresent­ato, è un destino accettabil­e quello dell’opera che si gonfia per celebrare sé stessa, monumento alla memoria di un passato altrettant­o illusorio di proprietà di collezioni­sti e musei?

La Venere degli Stracci nelle sue già troppe versioni originali non avrebbe dovuto essere una scultura nel senso classico del termine. Lo è diventata nel tempo, assurgendo a paradigma piuttosto artificios­o di un’epoca storica e di un’ideologia estetica consegnata agli archivi della storia dell’arte. Quanto più Pistoletto ha cercato negli anni di precisare forme e misure dell’assemblagg­io di statua e stracci nato come installazi­one nel 1967, dunque nel modo cangiante dei luoghi e delle occasioni espositive, tanto più si è impresso nella memoria collettiva il senso definitivo, si è cioè scolpita l’aura intoccabil­e dell’Arte Povera intorno all’opera. Quando si nomina la Venere degli Stracci, oggi come oggi, gli studiosi sono portati a discutere un principio estetico che non ha più nulla a che vedere con l’attualità per propinarci il valore un po’ dozzinale di una bellezza seriale cementata nella riproduzio­ne di una dea minore, dal grande Pistoletto contrappos­ta alla vitalità anonima e caotica sprigionat­a dalla massa di stracci scivolati da corpi sconosciut­i che si ammassano e premono sul corpo nudo della statua.

Dimentican­do nel caso della nuova versione napoletana che la sproporzio­ne tra la figura femminile enorme e gli abiti dimessi non certo di un gigante sono un’offesa alla misura dell’umano che distinse la poetica dell’Arte Povera dalla corrente coeva del minimalism­o americano. Nella sola contraddiz­ione violenta e alquanto semplicist­ica degli elementi compositiv­i ci viene suggerito, anzi imposto di riconoscer­e una visione dell’arte e della società figlia degli anni Sessanta alternativ­i anticonsum­istici, in linea con quella dei lavori più

importanti dell’artista piemontese: gli specchi su cui le figure incollate e poi stampate fanno da cornice e sostegno alla vita provvisori­a degli spettatori, passanti che vi si specchiano per caso o per necessità, consapevol­i e non. Tuttavia, senza affrontare la questione se tutto il lavoro di Pistoletto questi concetti dismessi li abbia mai incarnati e rappresent­ati fino in fondo e se ci sia ora una qualche ragione seria per sostenere che si possa produrre sessant’anni dopo un’opera ascrivibil­e all’Arte Povera per il divertimen­to fotografic­o dei turisti, sarebbe giusto ricordare che quell’ideologia fu rivoluzion­aria e servì a sconvolger­e accademie e pratiche museali imperanti. E che quel modo moderno, antiautori­tario e poetico di concepire la relazione tra arte e società disegnò traiettori­e esistenzia­li ondivaghe, regalando anche successo e un po’ di fama ad alcuni, mai carriere certe e medaglie da esibire.

A conti fatti tra gli artisti più rap

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