Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Come una carezza Come un cazzotto
della squadra mobile di Palermo, a cui si deve l’inizio della carriera come fotografa di mafia di Letizia: «Ci fu un omicidio, l’ennesimo, a Palermo - racconta Falcone - e ad un certo punto sulla scena del delitto si alza un grido: “Ma perché non mi fate mai passare? Perché i maschi sì e io no?” Era lei che rivendicava il diritto di lavorare come fotoreporter de L’Ora di Palermo. A quel punto Giuliano riconosce la forza di quella donna e dà disposizione che venga trattata alla pari dei fotografi uomini». Quando Boris Giuliano finì sotto i colpi di Cosa Nostra nel 1979, l’unica foto che circolò fu quella scattata da Letizia: un mazzo di rose sulla sua scrivania. Poi vennero gli anni in cui, stremata dall’omicidio di don Pino Puglisi, dopo gli attentati a Falcone e Borsellino, la fotografa decide di non occuparsi più di mafia. È un processo catartico che si manifesta con la serie degli Invincibili, figure di personaggi per lei emblematici, e nuove foto nate dall’assemblaggio creativo di scatti precedenti.
Il corpo principale della mostra è allestito nei saloni di Palazzo Fruscione, storico fabbricato del XIII secolo, e nella chiesa di San Sebastiano del Monte dei Morti. A questi si aggiungono la Corte di Palazzo Pinto e la Cappella di San Ludovico. Tra Cappella di Sant’Anna e Ipogeo in San Pietro a Corte l’installazione più bella e toccante, che da sola riesce a trasmettere tutto il senso dell’operazione: il ritratto della vedova Schifani (1993) che dialoga con i resti degli affreschi delle mulieres della Scuola Medica Salernitana. Carezza e cazzotto.