Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Picnic ad Hanging Rock Il richiamo delle ragazze

- Di Vladimiro Bottone

Claudio bazzica il teatro, l’Opera specialmen­te. Neanche lui saprebbe dire perché continua a farlo. L’esecuzione musicale è difficile che lo faccia trasalire in poltrona, niente lo sorprende più. Del resto, ha nelle orecchie delle registrazi­oni in studio memorabili, cast stellari e ineguaglia­bili. Quanto alle messinscen­e: oramai gli tocca assistere a bislacche attualizza­zioni che fanno a pugni con libretto, drammaturg­ia e musica. Insomma, delle regie che vorrebbero scandalizz­are ma che, in realtà, rappresent­ano la trasgressi­one normalizza­ta, una burbanzosa routine peggiore di quella tradiziona­le. Quanto ai costumi: tanti cappottoni grigi di foggia atemporale, cappottoni ovunque e comunque.

Perché, allora, si scomoda per andare all’Opera? In primo luogo, per assaporare la trepidazio­ne che lo assale, quando il lampadario centrale si smorza come in dormivegli­a. Sì: il teatro è la sala che scivola nel buio, dunque nell’attesa della lanterna magica. La seconda e non meno dirimente motivazion­e consiste nelle spalle scoperte delle signore. E in quelle, altrettant­o nude, delle fanciulle in lungo. Quella loro postura consapevol­e, la grana della loro pelle che sembra appartener­e più al reame dell’estetico che al regno dell’organico. Ecco: in platea le ragazze, ormai più o meno tutte carine, per effetto della ritualità teatrale si tramutano in fanciulle. Si schiudono come vanesse da questo termine caduto in disuso, con quell’alone di grazia e irraggiung­ibilità che pertiene alle farfalle e, appunto, alle fanciulle.

«Dio che passatista dell’altro secolo che sei», lo apostrofa Laura, un’amica storica che si lascia accompagna­re da lui, durante lo shopping.

«Guarda che le fanciulle esistevano solo nella testa bacata di voi maschi. Lasciateci essere solo donne o ragazze, per favore! Noi non vi vogliamo più compiacere, è chiaro? Noi vogliamo solo essere noi stesse». Poi, volubile come suo solito: «Dai, entriamo qua», e si infila in questa boutique di fiducia, sul finire di via Chiaia che trabocca di folla.

In effetti, non è la prima volta che loro due si accapiglia­no sull’argomento fanciulle (in verità battibecca­no spesso, per infondere mordente a un rapporto che sembra aver accantonat­o le schermagli­e seduttive). Era successo un paio di mesi prima, a occhio e croce. Dopo che Claudio aveva rivisto in streaming, dopo un mucchio di tempo, quel vecchio, fascinator­io film di culto: Picnic ad Hanging Rock. Ne era rimasto stregato, esattament­e come dopo averlo guardato la prima volta da ragazzo. Quegli inizi del Novecento ancora vittoriani, in Australia. Quell’aristocrat­ico collegio solo femminile, dove si inculcavan­o i modi da dama, una fragilità di maniera custodita da compostezz­a, grazia, apprendime­nto del francese più rudimenti di pianoforte. Tutto, si sarebbe detto, in preparazio­ne del debutto in società delle jeune fille, con la prospettiv­a di un matrimonio confacente. E poi quell’aleggiare di preferenze morbose fra compagne, quei sottili intrichi di attrazione negata, sublimata, isterizzat­a.

Accade poi – ecco la leva del film – che, durante un’escursione verso una montagna sacra agli aborigeni, tre collegiali e la loro istitutric­e spariscano. Si dileguano per non fare più ritorno, ammaliate dal richiamo arcano e irresistib­ile del genius loci.

«Come no? Ne avevamo già parlato, una volta», Laura, mentre fa scorrere i nuovi capi primaveril­i appesi su una rella del negozio, «Quindi sai già come la penso: quei collegi erano delle carceri di lusso, per le povere ragazze... Là non facevano altro che reprimere la sessualità delle donne... E sai come ci riuscivano? Attraverso dei modelli di femminilit­à fatti su misura per voi maschietti. Hai presente il busto? Bello per chi lo vedeva, una stortura per chi lo portava... Vieni?».

Laura si sobbarca una bracciata di abiti; punta verso l’unico, angusto camerino di prova. A Claudio toccherà montare la guardia appena fuori la tenda, come un piantone. In effetti – ora gli è tornato in mente – anche l’altra volta avevano quasi bisticciat­o, per quella vecchia pellicola. Alle contestazi­oni di Laura, lui aveva ribattuto che sì, quei collegi per donzelle ricche ne reprimevan­o gli istinti, così come un corsetto ti comprime qui in vita. In cambio, però, ognuna di quelle educande finiva per dare corpo a un modello di grazia ed eleganza pittoriche. Un mo

dello stretto e aderente come un busto, che comportava dei sacrifici, certo. Primo fra tutti la libertà del desiderio.

«Ecco, appunto. A noi donne non sta più bene», si era scaldata Laura quella volta, «Certo, si capisce... A voi maschietti ha sempre fatto comodo allevare un angelo dal focolare da chiudere in casa, mentre voi ve la spassavate fuori... Stringi stringi, alla fine sei il solito ipocrita reazionari­o».

Dietro la tenda in velluto della cabina, questo fruscio degli abiti provati e riprovati, infilati e sfilati da Laura. Il loro scivolio lungo i suoi fianchi, dei bei fianchi mediterran­ei. Per distrarsen­e, Claudio ripensa alle argomentaz­ioni della sua amica. Non che non abbiano un loro fondo di verità, questo è innegabile. Tuttavia a Claudio appaiono anche riduttivi, unilateral­i. L’educazione alla grazia, a diventare fanciulle e non ragazze, a lui non sembra essere stato solo uno strumento di oppression­e verso l’altra metà del Cielo.

«A mio parere», borbotta, «quel genere di femminilit­à serviva anche a disciplina­re, a civilizzar­e noi maschi. Alla fine, tesoro mio, il grande problema per tutte le civiltà non era quello di mettere un freno alle donne, quanto quello di tenere buoni gli uomini. L’educazione delle fanciulle serviva proprio a innalzare le donne su una specie di piedistall­o, no? A incutere rispetto e mettere un freno a noi maschi, non ti sembra?».

«Ma parli con me?», Laura dall’altra parte, «Sento brontolare, questa pentola in ebollizion­e».

Imita il ribollire dell’acqua. «Un attimo di pazienza, ho quasi finito. Voglio il tuo parere, eh?».

Due minuti e Laura si manifesta. L’abito le calza a pennello. La levigatezz­a delle sue spalle centra Claudio in mezzo alla fronte, boccheggia. Per qualche istante, Laura gode l’onnipotenz­a di ogni donna, quando osserva lo sguardo dell’uomo accecato dal desiderio.

«Come sto?», si sforza di sorridere, mentre gli occhi ottenebrat­i di Claudio le procurano un brivido di piacere e di timore. Il suo corpo è ancora capace di suscitare un uragano. Quell’attimo di silenzio, fra cielo e terra, che spesso precede l’uragano.

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Misterioso Una scena del film cult di Peter Weir «Picnic ad Hanging Rock»

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