Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Picnic ad Hanging Rock Il richiamo delle ragazze
Claudio bazzica il teatro, l’Opera specialmente. Neanche lui saprebbe dire perché continua a farlo. L’esecuzione musicale è difficile che lo faccia trasalire in poltrona, niente lo sorprende più. Del resto, ha nelle orecchie delle registrazioni in studio memorabili, cast stellari e ineguagliabili. Quanto alle messinscene: oramai gli tocca assistere a bislacche attualizzazioni che fanno a pugni con libretto, drammaturgia e musica. Insomma, delle regie che vorrebbero scandalizzare ma che, in realtà, rappresentano la trasgressione normalizzata, una burbanzosa routine peggiore di quella tradizionale. Quanto ai costumi: tanti cappottoni grigi di foggia atemporale, cappottoni ovunque e comunque.
Perché, allora, si scomoda per andare all’Opera? In primo luogo, per assaporare la trepidazione che lo assale, quando il lampadario centrale si smorza come in dormiveglia. Sì: il teatro è la sala che scivola nel buio, dunque nell’attesa della lanterna magica. La seconda e non meno dirimente motivazione consiste nelle spalle scoperte delle signore. E in quelle, altrettanto nude, delle fanciulle in lungo. Quella loro postura consapevole, la grana della loro pelle che sembra appartenere più al reame dell’estetico che al regno dell’organico. Ecco: in platea le ragazze, ormai più o meno tutte carine, per effetto della ritualità teatrale si tramutano in fanciulle. Si schiudono come vanesse da questo termine caduto in disuso, con quell’alone di grazia e irraggiungibilità che pertiene alle farfalle e, appunto, alle fanciulle.
«Dio che passatista dell’altro secolo che sei», lo apostrofa Laura, un’amica storica che si lascia accompagnare da lui, durante lo shopping.
«Guarda che le fanciulle esistevano solo nella testa bacata di voi maschi. Lasciateci essere solo donne o ragazze, per favore! Noi non vi vogliamo più compiacere, è chiaro? Noi vogliamo solo essere noi stesse». Poi, volubile come suo solito: «Dai, entriamo qua», e si infila in questa boutique di fiducia, sul finire di via Chiaia che trabocca di folla.
In effetti, non è la prima volta che loro due si accapigliano sull’argomento fanciulle (in verità battibeccano spesso, per infondere mordente a un rapporto che sembra aver accantonato le schermaglie seduttive). Era successo un paio di mesi prima, a occhio e croce. Dopo che Claudio aveva rivisto in streaming, dopo un mucchio di tempo, quel vecchio, fascinatorio film di culto: Picnic ad Hanging Rock. Ne era rimasto stregato, esattamente come dopo averlo guardato la prima volta da ragazzo. Quegli inizi del Novecento ancora vittoriani, in Australia. Quell’aristocratico collegio solo femminile, dove si inculcavano i modi da dama, una fragilità di maniera custodita da compostezza, grazia, apprendimento del francese più rudimenti di pianoforte. Tutto, si sarebbe detto, in preparazione del debutto in società delle jeune fille, con la prospettiva di un matrimonio confacente. E poi quell’aleggiare di preferenze morbose fra compagne, quei sottili intrichi di attrazione negata, sublimata, isterizzata.
Accade poi – ecco la leva del film – che, durante un’escursione verso una montagna sacra agli aborigeni, tre collegiali e la loro istitutrice spariscano. Si dileguano per non fare più ritorno, ammaliate dal richiamo arcano e irresistibile del genius loci.
«Come no? Ne avevamo già parlato, una volta», Laura, mentre fa scorrere i nuovi capi primaverili appesi su una rella del negozio, «Quindi sai già come la penso: quei collegi erano delle carceri di lusso, per le povere ragazze... Là non facevano altro che reprimere la sessualità delle donne... E sai come ci riuscivano? Attraverso dei modelli di femminilità fatti su misura per voi maschietti. Hai presente il busto? Bello per chi lo vedeva, una stortura per chi lo portava... Vieni?».
Laura si sobbarca una bracciata di abiti; punta verso l’unico, angusto camerino di prova. A Claudio toccherà montare la guardia appena fuori la tenda, come un piantone. In effetti – ora gli è tornato in mente – anche l’altra volta avevano quasi bisticciato, per quella vecchia pellicola. Alle contestazioni di Laura, lui aveva ribattuto che sì, quei collegi per donzelle ricche ne reprimevano gli istinti, così come un corsetto ti comprime qui in vita. In cambio, però, ognuna di quelle educande finiva per dare corpo a un modello di grazia ed eleganza pittoriche. Un mo
dello stretto e aderente come un busto, che comportava dei sacrifici, certo. Primo fra tutti la libertà del desiderio.
«Ecco, appunto. A noi donne non sta più bene», si era scaldata Laura quella volta, «Certo, si capisce... A voi maschietti ha sempre fatto comodo allevare un angelo dal focolare da chiudere in casa, mentre voi ve la spassavate fuori... Stringi stringi, alla fine sei il solito ipocrita reazionario».
Dietro la tenda in velluto della cabina, questo fruscio degli abiti provati e riprovati, infilati e sfilati da Laura. Il loro scivolio lungo i suoi fianchi, dei bei fianchi mediterranei. Per distrarsene, Claudio ripensa alle argomentazioni della sua amica. Non che non abbiano un loro fondo di verità, questo è innegabile. Tuttavia a Claudio appaiono anche riduttivi, unilaterali. L’educazione alla grazia, a diventare fanciulle e non ragazze, a lui non sembra essere stato solo uno strumento di oppressione verso l’altra metà del Cielo.
«A mio parere», borbotta, «quel genere di femminilità serviva anche a disciplinare, a civilizzare noi maschi. Alla fine, tesoro mio, il grande problema per tutte le civiltà non era quello di mettere un freno alle donne, quanto quello di tenere buoni gli uomini. L’educazione delle fanciulle serviva proprio a innalzare le donne su una specie di piedistallo, no? A incutere rispetto e mettere un freno a noi maschi, non ti sembra?».
«Ma parli con me?», Laura dall’altra parte, «Sento brontolare, questa pentola in ebollizione».
Imita il ribollire dell’acqua. «Un attimo di pazienza, ho quasi finito. Voglio il tuo parere, eh?».
Due minuti e Laura si manifesta. L’abito le calza a pennello. La levigatezza delle sue spalle centra Claudio in mezzo alla fronte, boccheggia. Per qualche istante, Laura gode l’onnipotenza di ogni donna, quando osserva lo sguardo dell’uomo accecato dal desiderio.
«Come sto?», si sforza di sorridere, mentre gli occhi ottenebrati di Claudio le procurano un brivido di piacere e di timore. Il suo corpo è ancora capace di suscitare un uragano. Quell’attimo di silenzio, fra cielo e terra, che spesso precede l’uragano.
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