Corriere del Mezzogiorno (Campania)

La scuola e l’illusione delle pari opportunit­à

- Di Riccardo Vigilante

Allora faccio rotta verso il bar, perché tutta questa fase è iniziata lì, dal momento in cui Franco il barista ci ha fatto fare quella specie di esercizio di scambio dei ruoli, che da allora Chiara si è improvvisa­mente interessat­a a me e forse io meno, e così siamo andati avanti per un po’ mentre le cose continuava­no a cambiare dentro e fuori le classi, tra noi ed attorno a noi, e Franco ad esempio finiva per lasciare la moglie ed andare a vivere con quella dottoressa Anna, la loro psicoterap­euta di coppia.

«Allora?» gli faccio. «Niente, Artù, da lunedì sono tornato da mia moglie. Mi ha ripreso, per fortuna. Con Anna non funzionava proprio… vabbè, per ora abbiamo smesso con la psicoterap­ia». «Risparmiat­e», abbozzo io. «Appunto», fa lui. «Ma questi esercizi sullo scambio dei ruoli, questo gioco della sedia vuota, come lo chiamavi tu?» incalzo.

«L’effetto è temporaneo, Artù… aprono una breccia, ma poi deve succedere qualcosa, altrimenti la breccia si richiude…» spiega lui. Me ne viene in mente allora un’altra di queste soluzioni perfette che fanno acqua da tutte le parti: l’idea che la scuola pubblica e gratuita da sola riesca davvero a fornire pari opportunit­à a tutti, superando le differenze sociali e culturali di partenza. Ma subito mi ritorna in mente Chiara. «Vabbè, che l’effetto degli esercizi non durava, Anna comunque l’aveva spiegato», aggiunge Franco. «Ma tu non me l’hai detto!» protesto. «Eh, Artù, io il barista faccio…» si difende. Certo, avrei dovuto prendere meno sottogamba l’intera faccenda. Forse tutto va preso meno sottogamba, penso.

Alla fine della quinta ora il cielo è azzurro e inutile come non mai. Esco da scuola e mi infilo nel bar all’angolo. Ecco Lia Stasi di 4B. «Oh, Lia, e che ci fai qui?». «Ho fatto tardi stamattina, non mi hanno fatto entrare… sono venuta a prendere gli altri all’uscita», balbetta, un po’ rossa in volto.

Le faccio una predica. Che bisogna sempre venirci a scuola, che i problemi si affrontano, che invierò una mail ai suoi perché devono essere informati eccetera eccetera. Segue un lungo momento di silenzio in cui nessuno dei due si muove o parla. Poi mi esce così: «Vabbè, vuoi qualcosa?». Finisce che ci troviamo ad un tavolino della sala interna, lei con una Coca Cola zero ed io con un caffè. Ancora silenzio. «Prof, ma io sono proprio cretina?» mi fa all’improvviso. Tutti a scuola pensano che Lia sia un po’ cretina. Superficia­le, a volte ci diciamo. «Oh! Non la dire più questa cosa… sei una ragazza sensibile, ecco!». Vorrei aggiungere qualcosa. Vorrei proprio parlarle di me, stamattina, ma per fortuna evito. Lei, intanto sorride. E allora sorrido anche io.

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