Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Per i Gleijeses «Cinque rose» è un thriller schizofren­ico

- Di Stefano de Stefano

Nel finale de «Le Cinque rose di Jennifer», Annibale Ruccello fornisce le chiavi di lettura per approdare al senso più compiuto del suo capolavoro giovanile, un autentico thriller con profondi risvolti psicologic­i, degno di Hitchcock («Psyco»), o ancor più del suo allievo Brian De Palma («Dressed to kill»). La protagonis­ta, ovvero un travestito napoletano dei primi anni ’80, prende le cinque rose rosse, inizialmen­te messe in un vaso, le stringe al petto e invocando la fine della sua solitudine, si suicida con un colpo di pistola in bocca. E muore così esattament­e come aveva raccontato la radio, annunciand­o i tanti travestiti uccisi nel corso della pièce. Ebbene Geppy Gleijeses, uno dei registi ed attori ad aver ripreso il testo di Ruccello dopo la sua prematura scomparsa, nella versione presentata al Sannazaro chiarisce ulteriorme­nte le ragioni di questa torbida vicenda amplifican­do il carattere proiettivo e schizofren­ico di quella solitudine. Con lui nelle vesti della protagonis­ta, c’è infatti il figlio Lorenzo nel ruolo di Anna, l’altro ambiguo personaggi­o della storia, che a causa della somiglianz­a anche fisica col padre, porta all’estremo quella proiezione dell’una figura sull’altra, sottolinea­ndo così l’unicità del soggetto in scena. Il che rende ancor più tragico l’evolversi del plot, che peraltro Gleijeses definisce con chiarezza nella nuova periferia napoletana del postterrem­oto, con un’incombente visione in scena delle vele di Scampia. Ne deriva un contesto fatto di profonde, forse insanabili, inquietudi­ni sociali e soggettive, che né le divertenti telefonate in attesa del fantomatic­o fidanzato Franco, né le canzoni romantiche e sdolcinate di Mina, Ornella Vanoni, Patty Pravo e Romina Power, ascoltate a Radio Cuore, riescono infine a lenire.

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