Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Per i Gleijeses «Cinque rose» è un thriller schizofrenico
Nel finale de «Le Cinque rose di Jennifer», Annibale Ruccello fornisce le chiavi di lettura per approdare al senso più compiuto del suo capolavoro giovanile, un autentico thriller con profondi risvolti psicologici, degno di Hitchcock («Psyco»), o ancor più del suo allievo Brian De Palma («Dressed to kill»). La protagonista, ovvero un travestito napoletano dei primi anni ’80, prende le cinque rose rosse, inizialmente messe in un vaso, le stringe al petto e invocando la fine della sua solitudine, si suicida con un colpo di pistola in bocca. E muore così esattamente come aveva raccontato la radio, annunciando i tanti travestiti uccisi nel corso della pièce. Ebbene Geppy Gleijeses, uno dei registi ed attori ad aver ripreso il testo di Ruccello dopo la sua prematura scomparsa, nella versione presentata al Sannazaro chiarisce ulteriormente le ragioni di questa torbida vicenda amplificando il carattere proiettivo e schizofrenico di quella solitudine. Con lui nelle vesti della protagonista, c’è infatti il figlio Lorenzo nel ruolo di Anna, l’altro ambiguo personaggio della storia, che a causa della somiglianza anche fisica col padre, porta all’estremo quella proiezione dell’una figura sull’altra, sottolineando così l’unicità del soggetto in scena. Il che rende ancor più tragico l’evolversi del plot, che peraltro Gleijeses definisce con chiarezza nella nuova periferia napoletana del postterremoto, con un’incombente visione in scena delle vele di Scampia. Ne deriva un contesto fatto di profonde, forse insanabili, inquietudini sociali e soggettive, che né le divertenti telefonate in attesa del fantomatico fidanzato Franco, né le canzoni romantiche e sdolcinate di Mina, Ornella Vanoni, Patty Pravo e Romina Power, ascoltate a Radio Cuore, riescono infine a lenire.