Corriere del Mezzogiorno (Campania)

«Convocato da Andreotti non salii in auto con Pino Amato Così scampai alle Brigate rosse»

L’ex ministro Scotti presenta oggi il suo nuovo libro

- Rosa Carillo Ambrosio

NAPOLI Ritorna a Napoli questo pomeriggio l’ex ministro Enzo Scotti. È atteso nella sala dei Baroni al Maschio Angioino, insieme con Romano Bernini che con lui firma il libro Sorvegliat­a speciale. Le reti di condiziona­mento della prima Repubblica (Rubbettino). Ad accoglierl­o il sindaco Gaetano Manfredi e poi ci saranno gli interventi (dalle 16 alle 19) di Michele Sivo, Ottorino Cappelli, Pasquale De Sena, Fortunato Musella e Mario Caliguri. Modererà il direttore del Corriere del Mezzogiorn­o Enzo d’Errico.

Il testo è una analisi certosina e pacata su degli eventi in chiaroscur­o della prima Repubblica: dalla strage di Portella delle Ginestre sino al rapimento di Aldo Moro, passando per quanto successe a via D’Amelio, non mancando ovviamente, Tangentopo­li.

Scotti, lei è stato sette volte ministro. La prima volta fu quando Moro venne rapito. In quella circostanz­a non si poteva agire diversamen­te?

«Ebbi il battesimo di minivette stro in una giornata terribile. Il complesso delle forze politiche italiane non riuscì a poter operare diversamen­te. E io sentii l’impotenza di tanti progetti. Pensiamo a Paolo VI, il suo più grande amico, ed entrambi autori del grande disegno di ricostruzi­one del Paese».

L’onda delle Br fu drammatica­mente incisiva anche a Napoli. Nel 1980, fu ucciso Pino Amato, suo amico e assessore regionale. Quel giorno lei doveva essere in macchina con lui?

«Sì. Mi aveva chiesto di poter utilizzare la mia auto privata e il mio autista si era messo in aspettativ­a. Io fui richiamato da Andreotti perché per un Consiglio dei ministri. Il mio amico alla guida della vettura ferì il br Seghetti e doin seguito viaggiare travestito perché avevano promesso di ucciderlo».

Dopo esplode l’affaire Cirillo. È evidente che la linea della fermezza applicata per Moro in questo caso non viene perseguita.

«Su tale questione si è discusso molto. La mia posizione è stata chiara e specie quando l’Unità pubblicò il falso documento e ne venne fuori una crisi, chiesi chiarezza. Non c’è spazio per altre parole, basta rileggere i circa due anni di mio incarico al Viminale sul contrasto a criminalit­à stragista e terrorismo. Inoltre ho espresso il mio pensiero in due libri: uno, appunto, è Sorvegliat­a speciale».

Lei è il padre del 41 bis, il carcere duro per i mafiosi.

Questa misura restrittiv­a è davvero servita?

«Il decreto legge del 1992 fu messo a punto in un gruppo misto: tra i ministeri di Giustizia e Interni dopo la strage di Capaci e con un governo Andretti dimessosi dopo le Politiche. Parte delle norme erano state discusse con Falcone. Con Martelli concordamm­o di includere il 41 bis nel decreto legge per affrontare la situazione di contrasto all’organizzaz­ione delle attività criminali gestita dai boss in cella, avendo uno stretto controllo delle carceri. Come ci dicevano sempre gli investigat­ori era necessario intervenir­e con decisione: l’obiettivo del 41 bis ha dato e darà ancora risultati positivi».

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